LETTURE
CORRADO MORGIA
      

La donna dei ritratti

 

Roma, Robin Edizioni, 2014, pp. 320, € 15,00

    

      


di Ennio Bìspuri

 

 

Una limpidezza di linguaggio, un’assoluta pregnanza semantica e lessicale, una corretta costruzione linguistica e uno stile scorrevole ed elegante, contribuiscono a determinare una lineare composizione e permettono di cogliere nei singoli racconti i punti focali relativi alla psicologia dei personaggi e degli snodi narrativi.

Molto interessanti sono anche gli excursus linguistici che, con una sottile ironia, talora introducono alcuni racconti, quasi a riesumare l’antico dibattito tra i nominalisti medioevali come Ockham e Abelardo, in un confronto tra gli oggetti, i concetti e i ‘nomi’ che li esprimono, permettendo all’autore di operare giochi linguistici sempre stimolanti e persino divertenti con la loro dilatazione attraverso diminutivi, assonanze ecc., che ribaltano, all’inizio dei rispettivi racconti, gli esiti spesso tragici dei medesimi.

Particolarmente interessante è anche l’alternarsi, nello stesso racconto, della terza e della prima persona, in un percorso narrativo che permette all’autore di descrivere e di connettere dialetticamente i dati quasi documentari dell’esperienza ‘esterna’ con quelli interni del personaggio che confessa al lettore i conflitti derivati dalla vicenda che sta narrando.

Ciò premesso, è necessario evidenziare subito che l’intera raccolta, costituita di quindici racconti, presenta una divisione interna tra tracciati narrativi totalmente fantastici (ma potrei dire anche fantascientifici) e apologhi a sfondo realistico, ancorché sempre conclusi e racchiusi in un perimetro espressionistico e surreale.

Appartengono al primo gruppo i racconti La donna dei ritratti (che dà inspiegabilmente il titolo alla raccolta), Metropolis, Gioco di specchi, All’isola, Il giardino di sangue, Sotto osservazione, Un delitto, Ombre.

Appartengono al secondo gruppo i racconti Fantasie e fantasmi, L’abito marrone, L’appuntamento, Andata e ritorno, In famiglia, L’altro e Visita di controllo.

Il gruppo dei racconti fantastici risente di alcuni influssi letterari ricorrenti ed esplicitamente evocati dall’autore, che fanno capo a Jorge Luis Borges e ad Adolfo Bioy Casares a Julio Cortázar, a Gabriel Garcia Marquez e a quella letteratura latino-americana aperta verso il fantastico, che nel caso di Morgia si sposa però con atmosfere e influssi anche opposti, come quelli ruotanti intorno all’angoscia e all’annientamento dell’individuo (Beckett, Kafka), presenti anche nell’espressionismo sia figurativo sia cinematografico, ma anche con atmosfere e influssi diversi, vicini al romanticismo, come von Kleist e Hoffmann. Così i temi tanto ricorrenti nell’universo poetico di Borges e degli altri scrittori latino-americani, come il gusto della metafora, il gioco degli specchi e delle ombre (nel caso di Cortázar, come ne La invención de Morel, addirittura fotogrammi strutturati in forma umana), il viaggio, la biblioteca e il doppio, si ritrovano tutti in questi racconti fantastici, senza escludere Cegueira (Cecità) di José Saramago, che è forse il testo più vicino alla poetica di Morgia. Ma anche Italo Calvino, Tommaso Landolfi, Dino Buzzati e perfino Poe e Adalbert von Chamisso sono presenti nelle fonti ispirative dell’autore, che previlegia il Mistero attraverso la rappresentazione di contesti labirintici (o concentrici) nei quali l’individuo si smarrisce e si perde in una sorta di autocombustione psicologica.

Nel primo racconto, La donna dei ritratti, che parafrasa esplicitamente il film di Fritz Lang del 1944, The Woman in the window, tradotto male in italiano con La donna del ritratto, un tale Thomas Brown, che vive in un luogo indefinito, si vede arrivare una lettera che gli comunica di aver ricevuto una cospicua eredità da una persona che si chiama come lui, deceduta a Dublino. Di qui un viaggio rocambolesco e labirintico del protagonista, che finisce per relegarsi in una gigantesca biblioteca che contiene tutti i vocabolari di tutte le lingue esistenti e che diventa praticamente la sua tomba, mentre la donna dei ritratti, Elisabeth, appare e scompare come una larva evanescente, inafferrabile e misteriosa.

Nel secondo, Metropolis, che già nel titolo vuole essere un altro omaggio esplicito al Fritz Lang di Metropolis (1927), ma anche a Bioy Casares, risulta costruito su un intricato scambio di manoscritti, sul mito di una Società Perfetta (in fondo è la Repubblica di Platone con esiti rovesciati, governata da scienziati-saggi e divisa in lavoratori e guardiani) che persegue il programma di eugenetica razziale molto simile a quello messo in atto dal Nazismo.

Il terzo racconto, Gioco di specchi, costruito con minore carica fantastica e rimanendo ancorato a una sola idea centrale, che richiama vagamente Le città invisibili di Calvino e Das Schloss di Kafka, con una conclusione persino dantesca, presenta una sua particolare bellezza, freschezza narrativa e originalità.

Lo stesso vale per All’isola, una grandiosa e ben costruita metafora che ricorda Il deserto dei Tartari di Buzzati, La invención de Morel di Cortázar e il film del 1969 Sotto il segno dello scorpione dei fratelli Taviani, dove prende corpo il tema dell’assenza e insieme della minaccia.

Il giardino di sangue è un racconto fiabesco ispirato esplicitamente alle Mille e una notte.

L’idea di Sotto osservazione, centrata su un neonato-ottuagenario in fuga, che viene emarginato e abbandonato in una stanza, è interessante e angoscioso, quasi a esprimere una diagnosi catastrofica, che richiama la banalità del male, su chi oggi viene al mondo per vivere in una società disumanizzata e dominata da una ferocia senza alternative.

Ombre è costruito su un tema ricorrente nella letteratura fantastica, in modo particolare nel racconto Peter Schlemihl, scritto da Adalbert von Chamisso nel 1813 e uscito in Italia con il titolo L’uomo senza ombra. Nel racconto di Morgia la metafora viene però rovesciata: non è un uomo che deve tornare in possesso della sua ombra perduta, ma è un’ombra, appartenuta a un uomo appena deceduto, che deve trovare un uomo privo di ombra. Questo personaggio evanescente, che somiglia molto all’Unheimliche (il Perturbante) di Freud, riorganizza la sua vita come se fosse un individuo vivo (“Nel prendersi il padrone, la morte si era dimenticata di me”, pag. 211). Non riuscendo però a suicidarsi, l’ombra si trasforma in un pluriassassino fino a incontrare finalmente un uomo senza ombra al quale apparterrà a pieno titolo.

Un delitto è un racconto che descrive una pulsione a uccidere di ascendenza gidiana da parte del protagonista chiamato con l’iniziale M., che vuole dare senso alla sua vita e giustificare la sua esistenza uccidendo senza motivo qualcuno che non conosce. M. è molto accurato nel vestire, metodico e maniaco dell’ordine (come spesso lo sono gli assassini o presunti tali, per esempio l’indiziato Bossetti, che ripeteva sempre gli stessi gesti tutti i giorni), ma, non riuscendo a trovare nessuno adatto per essere ucciso, decide di uccidere varie persone o recuperare e sezionare vari cadaveri nei cimiteri, per ricostruire con l’ausilio della stregoneria e attraverso organi diversi, come Frankenstein, una creatura chiamata W., a lui perfettamente somigliante.

Un discorso diverso caratterizza gli spaccati offerti dalla quotidianeità dilatata fino all’ossessione e dalla ripetizione maniacale di gesti insignificanti che i racconti a sfondo realistico presuppongono e implicano, rispecchiando il vicolo buio lungo il quale cammina l’uomo contemporaneo, dominato da una banalità (ancora la banalità del male!) che uccide il pensiero e la stessa felicità.

Tutti questi racconti sono costruiti all’interno di un tracciato narrativo molto nitido nel suo realismo marginale, che si ripete con variazioni irrilevanti, avendo come protagonista  sempre lo stesso personaggio, chiamato perfino con la stessa iniziale M. (M. come Morgia? M. come maniaco? M. come Mörder, il Mostro di Düsseldorf?) e su uno sfondo realistico che previlegia l’antropologia quotidiana con tutte le sue contraddizioni e le relative angosce, connesse con la difficoltà di vivere e di comunicare.

Si tratta di personaggi solitari, scontrosi, abitudinari, percorsi da turbe e fobie con coazioni a ripetere e con pulsioni omicide e autodistruttive.

Particolarmente bello e ben strutturato è il racconto Fantasie e fantasmi, nel quale il personaggio solitario M., maniaco e preciso fino all’ossessione di costruirsi un inventario degli oggetti insignificanti che si trovano nel suo appartamento, si accorge che qualcuno, non visto, sposta gli armadi, i letti, distrugge il vasellame ecc., insomma irrompe nel suo Ordine e violenta la sua casa. Convinto che possa essere la sua domestica, la licenzia, fa installare telecamere a circuito chiuso, si compra una pistola e rimane in attesa, finché un giorno avverte un rumore che proviene dalla camera da letto; vi si precipita, scorge un’ombra riflessa sullo specchio  dell’armadio e apre il fuoco.  Lo specchio si frantuma, ma M. ha ucciso se stesso.

Ben strutturato e molto originale come metafora chiaramente espressionistica, è il racconto L’abito marrone, che descrive l’ossessione di un uomo dominato da una coazione a viaggiare in treno per andare a Sondrio, dove però non ha niente da fare, oppure in altre località italiane che nemmeno conosce. L’importante, per lui (ed è la seconda ossessione) è avere un bell’abito da indossare. Al termine della parabola, l’uomo girovaga per le stazioni e vi trascorre anche la notte, finché, a lungo andare, non ha più il suo bel vestito marrone ed è costretto a vivere come un barbone coperto di stracci.

Ugualmente ossessionato dall’indossare un bel vestito è il protagonista anonimo (è scritto in prima persona) del breve e uno dei più riusciti racconti, L’appuntamento, nel quale si descrive un’altra sindrome maniacale di un uomo che, con una qualche assonanza con il Godot di Beckett, deve presentarsi tutti i giorni, ossessivamente attento alla puntualità, a un appuntamento per aspettare qualcuno che non viene.

Sulla stessa linea è da collocare Andata e ritorno, che, a mio avviso, è il più bel racconto dell’intera raccolta.

Compiuto e ricco di implicazioni sul piano dell’analisi sociologica e imparentato con la poetica dell’Espressionismo, che sembra trasformare in una forma metafisica esagerata lo smarrimento e il naufragio anagrafico pirandelliano di un Mattia Pascal del Duemila, il racconto ha come protagonista un ispettore ministeriale, il professor Carmine Poma, che rientra da un viaggio di lavoro e non è più riconosciuto dalla sua famiglia e da tutti i suoi amici. Infatti nonostante le sue proteste è stato dichiarato morto, con tanto di data sui necrologi dei giornali, fino a essere costretto ad autoemarginarsi, senza poter reagire, e a spegnersi in un progressivo quanto inarrestabile degrado.

In famiglia esprime in forma ben costruita e con una drammaticità silente l’emarginazione radicale di un travet quasi fantozziano, il ragionier Trani,  costretto a scendere tutti i gradini di un isolamento senza speranze sia sul lavoro, dove viene minacciato di licenziamento, sia in famiglia, con la moglie e i figli che si vergognano di lui.

Come nel caso del professor Carmine Poma, anche il ragionier Trani deve prendere atto dell’ostilità granitica che il mondo intero riserva nei suoi confronti.

Sarà così costretto ad adattarsi e a dormire in un “vecchio cesso inutilizzato” (pag. 248), da condividere con altri, dove, quando si addormenta, può rivedere solo in sogno, senza però riconoscerli, i volti della moglie e dei figli.

Di fine struttura narrativa con evidenti incidenze espressionistiche è il racconto L’altro, centrato ancora su un protagonista chiamato M., un famoso professore universitario dalla folta barba, che, dopo essere stato lasciato dalla moglie Eleonora, si ritira a vivere da solo in un elegante appartamento sull’Aventino, a Roma, e nel corso delle varie notti trascorse alla scrivania per scrivere un libro, si accorge che in una stanza di un appartamento di fronte, c’è un uomo chino sulla scrivania come lui, con la barba folta, a scrivere alla luce di una lampada, mentre una donna, molto somigliante alla moglie Eleonora, a una certa ora della notte gli porta il caffè e lo bacia. Preso dalla curiosità, M. passa molte notti a scrutare quell’uomo, finché alla fine, tornato all’università per fare lezione, si rende conto che nessuno dei suoi allievi lo riconosce, mentre l’altro, proprio quell’uomo scrutato tutte le notti e a lui somigliante, con una folta barba, ha preso il suo posto e sta facendo lezione ai suoi allievi.

Il tema del doppio ritorna nel racconto Visita di controllo, incentrato su un attore di teatro, Andrea G., che è ossessionato dal fatto che i personaggi da lui interpretati possano materializzarsi ed ergersi contro di lui o che la sua mente possa partorire i suoi fantasmi (“Morire come persona e rinascere in un altro, privo di una vita autonoma, ma vivo grazie alla mia interpretazione”, pag. 282; “…la mia mente potesse arrivare fino al punto di materializzare i suoi fantasmi, dando loro un corpo”, pag. 283). Anche lui, come tutti gli altri personaggi dei racconti precedenti, si isola dal mondo e fantastica di aprire una scuola di recitazione (“il teatro è stregoneria”, pag. 286) e di recitare tutte le parti, anche femminili, di King Lear, solo nella sua stanza, in una allucinazione che diventa placenta della sua stessa follia e il segno di una guarigione a rovescio.

Sostanzialmente l’universo umano che scaturisce da questi racconti presenta i connotati della desolazione. È un universo evidentemente caratterizzato e connotato dal Vuoto, come se tutti gli impulsi positivi negli esseri umani si fossero disseccati e prosciugati gradualmente, per dar vita a creature moralmente sghembe e psicologicamente deformi. È tuttavia un universo tutto e solo maschile, nonostante il titolo sembri indicare il contrario. Tutti i personaggi sono uomini, con l’aggravante che le poche donne che vi compaiono sono solo comparse che svolgono ruoli di domestiche, di badanti o, al più, di amanti occasionali o di mogli pedanti. Viene da pensare che l’autore ha volutamente esonerato la donna dal comparire come protagonista nelle sue storie proprio per mettere nel cono della sua nera luce narrativa solo personaggi maschili oscuri e repellenti, incapaci di vivere e schiavi delle loro fobie distruttive e autodistruttive, come a dirci che la donna ha compiuto in modo definitivo e irreversibile il suo sorpasso sugli uomini, relegati pertanto alla loro estrema mediocrità.

Gli apologhi qui presentati, sia quelli inscritti in una dimensione fantastica sia quelli riconducibili all’interno di un realismo esplicito, ancorché parziale, compongono un affresco di una società che sembra aver smarrito completamente i segni della solidarietà e dell’umanesimo, i principi dell’Illuminismo e della pietas.

Senza alcuna sottolineatura politica o una esplicita considerazione etica, l’autore, come un entomologo, si limita a descrivere le varie vicende dei suoi personaggi senza comunicarci alcuna sua condanna e tanto meno indicarci quale potrebbe essere una via d’uscita da questo mondo malato. Ne risulta una diagnosi impietosa della società postmoderna, anche se non viene mai fatto alcun riferimento allo specifico economico, al mondo della pubblicità, alla cosmologia mediatica, alle magie del web, ai social network, al twitter, all’uso dei cellulari, dell’I Pad e del computer.

È come se i protagonisti di queste storie semirealistiche si muovessero in una realtà premoderna piuttosto che postmoderna.

 




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