LETTURE
EDUARDO REBULLA
      

Le conseguenze estreme

 

Milano, Baldini&Castoldi, 2013, pp. 281, € 15,90

    

      


di Alessandro Iovinelli

 

 

Chi ha seguito la produzione letteraria di Eduardo Rebulla ricorderà senz’altro i romanzi che lo rivelarono tra gli autori più interessanti degli anni Novanta: Carte celesti, Linea di terra, Segni di fuoco e Sogni d’acqua (tutti editi da Sellerio). Si tratta della cosiddetta tetralogia dei quattro elementi, giacché i suoi testi si inscrivevano nel solco dell’antica tradizione empedoclea per la quale l’universo – e dunque quel che vi accade – va ricondotto a quattro poli: l’acqua e il fuoco, la terra e l’aria.

In realtà, poiché questi testi risalgono all’ultimo decennio del Novecento, esprimono una tendenza dell’età del postmoderno, la quale produsse tra i suoi migliori frutti una narrativa consapevolmente metatestuale e finanche intersemiotica. A quel filone, nel quale ritroviamo altri autori italiani – a cominciare da Tabucchi –, è a pieno titolo ascrivibile l’opera di Rebulla con la sua scrittura colta ed elegante, il solido ancoraggio nel romanzo storico, l’attraversamento delle arti figurative per mezzo delle vite dei pittori e dei loro quadri.

Questa fase si è chiusa una decina di anni fa, tant’è vero che nel più recente La misura delle cose (Sellerio, 2008) Rebulla ha rivolto la sua attenzione ai drammi della nostra epoca (la diffusa minaccia terroristica) e ai grandi temi dell’umanità contemporanea (l’eutanasia).

Nelle Conseguenze estreme Rebulla cambia di nuovo registro, ambientazione storica, tematiche.

Siamo nella sua Sicilia, negli anni del secondo dopoguerra, una fase cruciale nella storia della regione e del Mezzogiorno tutto, allorché si è formato – per dirla in termini gramsciani – un blocco storico fondato sull’alleanza tra i latifondisti e i gruppi mafiosi.

Rebulla ce lo racconta a partire dall’assassinio di Accursio Ramirez, il segretario della camera del lavoro di Xacca – entrambi sono nomi fittizi, benché alludano a personaggi esistiti e luoghi reali. Il romanzo parte da questa scena chiave, cioè la rappresentazione del delitto, per poi seguire l’inchiesta. Non vi è un solo protagonista, ma gli eventi vengono ricostruiti da una serie di inquirenti ufficiali e ufficiosi: il commissario Riera, l’avvocato Montalto, gli amici e i compagni della vittima, tra i quali Peppino, che è altresì il marito della nipote prediletta di Accursio, Lina.

Si avverte la doppia elica della struttura narrativa delle Conseguenze estreme: da una parte, c’è l’architesto di origine sciasciana con l’indagine come strumento non tanto di detection, ma di riflessione sulle dinamiche profonde della società; dall’altra, vi è una memoria familiare, della quale l’autore si sente in debito, e che probabilmente è stato il primo motore della storia che leggiamo, anzi il collante stesso, quello che preferisce insistere sul vissuto e sull’introspezione dei personaggi, anziché su elementi esteriori più superficiali, quali sarebbero i colori del paesaggio o le cadenze dei bozzetti e delle scene minori. La struttura del giallo tradizionale è infatti un puro strumento narrativo. Prima di tutto, perché molto presto il lettore comprende quali siano gli esecutori, i mandanti, nonché il movente del delitto. Ma poi anche perché, a differenza degli specialisti del genere, da Simenon a Camilleri, il progressivo accertamento della verità non si traduce in alcuna affermazione della giustizia. Anzi: accade tutto il contrario. Più chiara è la soluzione del caso, maggiore è l’opera di occultamento delle prove e di sostanziale impunità dei colpevoli.

Di qui il sentimento di frustrazione che si estende dai protagonisti, in primis la tormentata figura del commissario Riera, al lettore che non può che prendere atto di come le cose andassero allora – e non soltanto allora – nella lotta alla mafia.

Del resto, Rebulla non è autore che coltivi il piacere dell’intrattenimento con il suo lettore.  A differenza dello stesso Sciascia, che resta comunque il suo ideale precedente, non c’è nessuna via d’uscita dal gorgo, dal labirinto, dalla morta gora in cui affondano i protagonisti dell’inchiesta e la stessa Sicilia, nemmeno in termini metafisici o metastorici. La verità non sarebbe stata inaccessibile, se vi fosse stata la volontà di scoprirla e condannarla. Così non è stato.

Pertanto tutta la seconda parte del romanzo mostra proprio il contrario di quel che ci aspetterebbe, se fossimo lettori naïf di un giallo, anzi dell’ennesimo thriller, per il quale la nostra industria editoriale stravede. L’intento di Rebulla è un altro. Allo stesso modo, il suo messaggio è inequivocabile: anche lo stato si accordò con la mafia, tanto da isolare e punire tutti coloro che provarono a combattere un tale accordo. La sconfitta dell’unico soggetto politico di massa che avrebbe potuto cambiare il corso della storia, cioè il PCI, ha assunto questo significato.

Ci sarebbero tutti gli estremi per un violento pamphlet di polemica storiografica e politica. Ma lo stile di Rebulla non è mai aggressivo e ridondante. Semmai, in lui prevale una sincera pietas per la solitudine dei pochi rimasti a battersi dentro le istituzioni affinché, se non la realtà storica, almeno la verità fattuale sia affermata.

Nella produzione romanzesca italiana, Le conseguenze estreme rappresenta una nuova tappa di una realizzazione di alto livello, là dove si combinano due elementi della migliore letteratura: il carattere inquietante e non consolatorio dello svolgimento narrativo e l’alta qualità di uno stile incisivo, originale, cristallino.

 




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