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di Sergio D’Amaro
Oltre
il confine c’è la vita:
il
racconto bruciante di un fuggiasco dall’Albania
Un’intervista su
“Famiglia Cristiana”, alcuni passaggi in televisioni nazionali come “I fatti
vostri” su Raidue e “Buona Domenica” su Canale 5, hanno fatto conoscere al
grande pubblico l’esperienza esemplarmente drammatica del giovane albanese
Euglent Plaku. Oggi ha trentacinque anni, ma la sua memoria impressa a fuoco dalle
vicende subìte parla come se solo ieri avesse abbandonato l’ultima panchina
delle sue speranze. Sembra di rileggere un’esperienza tante volte già letta o
scritta, eppure questo racconto bruciante di Plaku ha un peso specifico diverso:
è incalzante, preciso in tutti ricordi, in tutti i passaggi, in tutti i gradi
di disperazione e di abiezione a cui l’uomo può ridursi. E finalmente sappiamo
che cosa si agita nella mente di chi chiede l’elemosina o cerca di lavare il
tergicristalli ad un semaforo: è un essere umano passato da un tunnel all’altro,
da una sconfitta al rischio di perdere la sua stessa umanità, la sua più essenziale
dignità, il rispetto di se stesso.
Plaku arriva
dall’Albania all’indomani del collasso della dittatura di Hoxha. Per tre anni,
dal 1993 al 1996, tra i 14 e i 17 anni, tenta di espatriare più volte
attraverso il confine con la Grecia. L’Albania di allora è un paese povero,
violentato, disperato: le nuove generazioni, tra cui quella a cui appartiene
l’autore, hanno fame di tutto e si ribellano al destino dei padri. In un paese
allo sbando tutto è possibile, anche che il dramma di un popolo si ribalti in
insolite soluzioni. Per Plaku l’adolescenza non esiste, né esiste la scuola, la
spensieratezza, l’allegro cameratismo. Solo fuggendo si può sperare che tutto
cambi, anche a rischio della vita.
Il resoconto di
questo ex ragazzo d’Albania, Oltre
confine, è implacabile. Ricostruisce giorno dopo giorno, strada per strada
il suo terribile passato e il lettore accompagna i suoi viaggi con una partecipazione
da thrilling, restando sorpreso di tanta rudezza, di tanta crudeltà, di tanta
straordinaria voglia di vivere. Quando finalmente Plaku giunge a Milano è come
resuscitato da un miracolo. Ma l’Italia non è l’Eldorado sognato, è invece la
mano stritolante di un’organizzazione criminale che riduce in schiavitù e
costringe all’elemosina secondo una ben calcolata strategia di sfruttamento.
Nel vagone di uno squallido binario senza destinazioni Plaku e i suoi compagni
vivono quest’incubo e lo impastano con sogni stracciati. Arriva poi l’arresto e
il rimpatrio e, di nuovo, come in una ruota inesorabile, la fuga, il pianto
inutile di una madre, l’antico villaggio che non lascia altro scampo.
Alla fine, la
direzione di fuga è Roma, dove il protagonista incontra un salesiano colto e
sensibile, Mino, che lo salva dal baratro avviandolo al recupero della dignità
e agli studi. Il bandolo si scioglie, ed è come se con Plaku ci fossimo anche
noi liberati da un incubo e da una maledizione. “Solo ora, solo dopo aver visto
quel timbro sul passaporto, posso lasciarmi alle spalle tre anni di viaggi
disperati tra le montagne della Grecia e le onde dell’Adriatico, tre anni di
semafori, ponti e panchine tra Milano e Roma, tre anni di soprusi e vergogne,
tre anni di ‘invisibile’”. Il pensiero corre naturalmente alle altre migliaia
di uomini e donne che invece non ce l’hanno fatta e sono rimasti ad aspettare
un riscatto impossibile.
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