LETTURE
EUGLENT PLAKU
      

Oltre confine

 

BiancaeVolta edizioni, 2013, pp. 416, € 16,00

    

      


di Sergio D’Amaro

 

 

Oltre il confine c’è la vita:

il racconto bruciante di un fuggiasco dall’Albania

 

  

Un’intervista su “Famiglia Cristiana”, alcuni passaggi in televisioni nazionali come “I fatti vostri” su Raidue e “Buona Domenica” su Canale 5, hanno fatto conoscere al grande pubblico l’esperienza esemplarmente drammatica del giovane albanese Euglent Plaku. Oggi ha trentacinque anni, ma la sua memoria impressa a fuoco dalle vicende subìte parla come se solo ieri avesse abbandonato l’ultima panchina delle sue speranze. Sembra di rileggere un’esperienza tante volte già letta o scritta, eppure questo racconto bruciante di Plaku ha un peso specifico diverso: è incalzante, preciso in tutti ricordi, in tutti i passaggi, in tutti i gradi di disperazione e di abiezione a cui l’uomo può ridursi. E finalmente sappiamo che cosa si agita nella mente di chi chiede l’elemosina o cerca di lavare il tergicristalli ad un semaforo: è un essere umano passato da un tunnel all’altro, da una sconfitta al rischio di perdere la sua stessa umanità, la sua più essenziale dignità, il rispetto di se stesso.

  

Plaku arriva dall’Albania all’indomani del collasso della dittatura di Hoxha. Per tre anni, dal 1993 al 1996, tra i 14 e i 17 anni, tenta di espatriare più volte attraverso il confine con la Grecia. L’Albania di allora è un paese povero, violentato, disperato: le nuove generazioni, tra cui quella a cui appartiene l’autore, hanno fame di tutto e si ribellano al destino dei padri. In un paese allo sbando tutto è possibile, anche che il dramma di un popolo si ribalti in insolite soluzioni. Per Plaku l’adolescenza non esiste, né esiste la scuola, la spensieratezza, l’allegro cameratismo. Solo fuggendo si può sperare che tutto cambi, anche a rischio della vita.

  

Il resoconto di questo ex ragazzo d’Albania, Oltre confine, è implacabile. Ricostruisce giorno dopo giorno, strada per strada il suo terribile passato e il lettore accompagna i suoi viaggi con una partecipazione da thrilling, restando sorpreso di tanta rudezza, di tanta crudeltà, di tanta straordinaria voglia di vivere. Quando finalmente Plaku giunge a Milano è come resuscitato da un miracolo. Ma l’Italia non è l’Eldorado sognato, è invece la mano stritolante di un’organizzazione criminale che riduce in schiavitù e costringe all’elemosina secondo una ben calcolata strategia di sfruttamento. Nel vagone di uno squallido binario senza destinazioni Plaku e i suoi compagni vivono quest’incubo e lo impastano con sogni stracciati. Arriva poi l’arresto e il rimpatrio e, di nuovo, come in una ruota inesorabile, la fuga, il pianto inutile di una madre, l’antico villaggio che non lascia altro scampo.

  

Alla fine, la direzione di fuga è Roma, dove il protagonista incontra un salesiano colto e sensibile, Mino, che lo salva dal baratro avviandolo al recupero della dignità e agli studi. Il bandolo si scioglie, ed è come se con Plaku ci fossimo anche noi liberati da un incubo e da una maledizione. “Solo ora, solo dopo aver visto quel timbro sul passaporto, posso lasciarmi alle spalle tre anni di viaggi disperati tra le montagne della Grecia e le onde dell’Adriatico, tre anni di semafori, ponti e panchine tra Milano e Roma, tre anni di soprusi e vergogne, tre anni di ‘invisibile’”. Il pensiero corre naturalmente alle altre migliaia di uomini e donne che invece non ce l’hanno fatta e sono rimasti ad aspettare un riscatto impossibile.

 




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