di
Daniele Comberiati
La
grande crisi non abita qui. L’hanno lasciata fuori
dal cancello principale, ad attendere paziente. Arriverà, non aspettando
neanche lo spazio di una generazione. Tempo qualche anno, quando tutti, ma
proprio tutti, saranno morti.
I residence vicino Montpellier, verso Lattes, che costeggiano la laguna,
hanno spesso nomi italiani: Michelangelo, Da Vinci, Leonardo. A metà fra un
nuovo Rinascimento e le tartarughe ninja. Me lo aveva detto un amico prima che
mi trasferissi in città: è un posto strano, Montpellier, per vecchi e per
studenti. Manca la generazione dei trentenni e quarantenni. La tua. Avevo
sperato dicesse un mucchio di stupidaggini per non farmi prendere dal panico o
cadere in depressione, e in effetti non è così. La città è una delle più amate
e vivaci di Francia, una delle pochissime (anche a dispetto di Parigi) che
aumenta ogni anno di circa dodicimila abitanti. Il che per una città che consta
di duecentocinquantamila persone (quasi raddoppiate con l’agglomerato urbano)
rappresenta una cifra enorme. L’ambiente universitario la rende piacevole e
vivace, il clima è estremamente favorevole e i dintorni naturali (mare e
montagna) sono splendidi. Eppure il mio amico aveva colto un aspetto centrale
della vita locale.
Gli anziani. La regione dell’Herault non è la
Provenza o la Costa Azzurra. Nessun russo multimiliardario ormeggerebbe mai il
proprio barcone sulle coste della regione, nessun industriale diventerebbe mai ricco con le sue erbe o i suoi prodotti. Marsiglia e
Barcellona, pur relativamente vicine, a tratti sembrano lontanissime. Gli
anziani che si dirigono nella provincia di Montpellier sono vecchi in via di
estinzione, non solo per l’età: se volete vedere, tutti insieme, gli ultimi
esponenti della classe media inglese e francese, allora passate di qui.
I villini in cui alloggiano, all’interno di residence agghiaccianti (qui li
chiamano ‘sécurisés’ e ve ne sono diversi anche in
città, nei quartieri settentrionali, i più cool preda anche di professionisti
quarantenni e di ricche famiglie altoborghesi) sono molto meno costosi. I comfort
apparentemente sembrano gli stessi (che suvvia, fra Monaco e Montpellier ci
sono solo pochi chilometri di costa), ma è il contesto globale a dare il senso
dell’abbassamento di livello. Un po’ come quegli alberghi all inclusive per la classe media negli anni Novanta: c’era tutto per
davvero, dai cocktail illimitati al buffet colazione, pranzo e cena, solo che
la spiaggia dell’albergo era sovraffollata, la pasta dei buffet scotta e sempre
uguale, i rhum e cola avevano alcool scadente o percentuali inverosimili di
bevande non alcoliche (una proporzione di nove a uno, e spesso la coca era del
discount, tanto nel miscuglio non si sentiva). Il che aveva anche ragioni
pratiche, che un gruppo di turisti all inclusive
ubriachi alle nove del mattino non li regge neanche l’hotel a cinque stelle… I
residence “italiani” nei dintorni di Montpellier ricalcano lo stesso modello:
c’è tutto, ma tutto è di qualità leggermente minore.
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Veduta aerea di Montpellier
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Quando C. mi invita a casa sua per l’aperitivo domenicale ho un’intensa
impressione di déja vu che all’inizio fatico a spiegarmi.
L’abitazione è il classico villino a due piani dei residence sul mare, con un
minuscolo giardino all’ingresso, la cucina e il salone al primo piano, lo
spazio notte e il bagno al secondo (le scale di legno sono strette e ripide,
per guadagnare spazio). Di fronte al salone c’è un giardino più grande, con
pietre bianche ai bordi. È lì che la sensazione di aver già visitato quei
luoghi si fa più forte. Un piccolo canale artificiale, proveniente dalla laguna
si intravede a pochi metri. È identico, a centinaia di chilometri di distanza,
ad un canale che bagnava il giardino di una coppia di amici in Olanda. Ci si
può pescare? Gli avevo chiesto all’epoca, affascinato dall’idea di grigliate di
pesce a chilometro zero. Non lo so, mi sa che non ci hanno messo pesci. Mi
aveva risposto lui. E la compagna però a rintuzzare la mia speranza: ma ci sono
le papere, che si mangiano le papere se non ci sono pesci?
Quello era una canale olandese, freddo e umido (ricordo con brividi una cena
fuori a fine giugno in cui ho tremato dall’antipasto al dolce mentre gli altri
sembravano perfettamente a loro agio). Questo era salmastro, paludoso, meridionale.
Tutta la zona è stata costruita a ridosso dalla laguna, in uno scenario onirico
che accompagna la Francia fino alla Camargue. È anche per questo che le
alluvioni sono particolarmente temute e pericolose: le strade, perennemente
sotto o appena al di sopra del livello del mare ma senza dighe, si allagano, e
così gli scantinati e alcune abitazioni. I residence per anziani sono “securisés”, sì, ma bisognerebbe chiedersi da chi o
piuttosto da che cosa.
L’odore salmastro nel giardino posteriore è costante e stranamente anche il
cielo, quel giorno, mi ricorda l’Olanda. Così chiedo l’unica domanda che mi
viene in mente: ci sono pesci, si può pescare? Non so se ce li hanno messi, mi
risponde C., comunque non ci ho mai pensato. Appunto, penso. Poi mi offre del
formaggio comprato al Lidel (ce n’è uno al centro del
complesso abitativo, come se fosse il centro del villaggio) e del vino bianco
sudafricano che al supermercato è in offerta, il che in Francia, e in
particolare nella regione di Montpellier, sembra un paradosso. Ma non è solo il
prezzo del vino a sembrare assurdo: la frutta e la verdura che vengono prodotte
nella regione servono quasi esclusivamente per l’esportazione: Parigi è il
mercato più grande, poi Barcellona, Marsiglia, anche l’Italia. In compenso si
compra dalla Spagna perché costa meno, così non mi sembra che prezzo e qualità
di quello che mangio sia granché migliorato dal mio trasferimento dal Belgio.
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Lattes, l'area del porto
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C’è un altro elemento che mi colpisce. L’interno. Dall’ingresso c’è una
piccola finestra dalla quale è possibile guardare la piscina (al momento
chiusa) e la palestra del complesso. Anziani che girano in bicicletta si
avvicinano alla palestra e penso che è bello rimanere in forma anche se poi
pure qui bisognerebbe chiedersi che cosa fare con tutta questa forma fisica
quando si torna nelle case sempre identiche del centro. Sembra davvero un film
di Lynch, o anche uno dei primi di Cronenberg: ho l’impressione (meglio, il
terrore) che come nei Revenants
qualcosa di molto inquietante sia appena successo. E che sia accaduto
semplicemente, nella più assoluta normalità.
Continuo a mangiare il formaggio di Lidel mentre
C. mi racconta la sua vita, migrazioni, storie e chilometri che si sono
incrociati, sovrapposti e infine annullati per finire lì, in quel luogo bizzarro
dove la crisi propone esemplari in estinzione come uova di dinosauro in vitro,
frammenti retrò di un mondo che si
può ormai solo visitare come se fosse un gigantesco acquario. Ed in effetti
l’aria salmastra e l’atmosfera silenziosa e ovattata proprio ad un acquario
all’aria aperta fanno pensare, con C. che si muove pacato e gonfio, come i
pesci apre lentamente la bocca per fare piccole bolle che si disperdono nel
cielo denso.
Gli interni delle case sono identici, lo capisco scorgendo due sale da
pranzo da finestre aperte di persone che evidentemente non hanno problemi con
la propria privacy. In ciascuna delle stanze, spenta e immobile, giganteggia la
televisione. Sono molto uno punto zero i residui della classe media, come una
specie in estinzione che oltre a nascondersi e difendersi in un pianeta lontano
si attacca disperatamente a mode vintage e bizzarre nostalgie culturali per
ricordare i bei vecchi tempi andati. La televisione spenta – C. mi dice che gli
è stata data in dotazione quando ha comprato la casa, lo svago compreso nel
prezzo, quindi – mi fa pensare a un reportage di Angelo Mastandrea
letto qualche mese fa sulle nuove case costruite dal governo Berlusconi per i
terremotati a L’Aquila. Un esempio perfetto, a livello architettonico e non
solo, di una precisa volontà di non far comunicare e dunque non far associare
le persone. Qui al Da Vinci le cose non sono poi molto diverse: gli anziani si
sono rinchiusi per gli ultimi anni di vita, stanchi di lotte e contese. O forse
il discorso è diverso e mi sfugge qualcosa: forse la lotta è finita e sono
proprio loro ad averla vinta, e quelle villette altro non sono che il luogo del
riposo del guerriero, il segno della vittoria. Sono stati lungimiranti, ecco
tutto. Hanno capito prima dove saremmo andati a finire e hanno giocato
d’anticipo, capendo di essere loro, in fondo, l’ultima generazione che portava
ancora i segni della vittoria della guerra e della fede cieca nel progresso.
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Uno dei residences nella zona di Lattes
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Immagino, esagerando un po’, che anche la fotografia del figlio (su uno
sfondo neutro, una di quelle foto scattate in posa dal fotografo con i sorrisi
che sembrano tutti uguali) sia un gentile omaggio della ditta di costruzione.
Visto che si è premurata di organizzare il presente e il futuro dei nuovi
abitanti del complesso, perché non ricreare loro anche il passato? E dunque
figli fasulli ma perfettamente a fuoco e in forma in cornici falso argento sul
mobile della cucina o sulla televisione, contenitore che si espande e che
contiene non solo i momenti di svago, ma anche i frammenti della memoria. E mai
un’immagine di una vacanza, una passeggiata, un compleanno insieme. Come se in
un pomeriggio tutti questi ragazzi, in fila allo stesso studio fotografico, si
siano messi in posa per la foto-ricordo.
C. nel giardino posteriore si accende una sigaretta elettronica e aspira il
fumo dolciastro che si confonde con il grigio uggioso della domenica, e mentre fuma
penso alle decine di negozi che, proprio come in Italia, sono sorti in centro e
nella prima periferia di Montpellier per vendere il nuovo business delle
sigarette elettroniche. Quanto dureranno? mi chiedo, e non faccio in tempo a
pormi la domanda che mi rendo conto come alcuni stiano già chiudendo.
La crisi nel sud della Francia – il luogo privilegiato dei petits blancs, una
variazione francese dei poor whites,
bianchi al di sotto o appena al di sopra della soglia di povertà, come spiega
un bel saggio di Aymeric Patricot
– è arrivata ormai da anni, è galoppante anche se attutita, rispetto
all’Italia, da uno stato sociale che ancora regge. L’ultimo tassello pronto a
cadere nelle grinfie del governo liberista di Hollande.
O di chi vincerà le prossime elezioni. Anche se Montpellier è l’unica grande
città del sud ad avere un sindaco di sinistra (un socialista pentito, che è
fuoriuscito dal Ps per divergenze con la base), la differenza con il resto del
midi francese non è enorme. Ho l’impressione che le elezioni europee di maggio
scorso, nelle quali il Front National è risultato il partito più votato della
nazione, siano solo l’inizio di un sommovimento molto più profondo. Le
conseguenze della crisi, le vere conseguenze intendo, arriveranno presto anche
qui. E saranno devastanti e inaspettate.