di Flore
Murard-Yovanovitch
25
agosto 2011
Subitement
du ciel tu comprends tout. C’est un point dans la mer
une bouée une roche un
ancrage sur la traversée, une ancre un port où amarrer
un bout de terre arabe
dans la mer avec ses palmes et ses palais qui évoquent et appellent l’autre
rive.
Qualche agave in
equilibrio sulla roccia
puntino giallo nel mare,
palma e vento da un’altra riva.
Araba.
26
agosto 2011,
molo Favarolo
Strane
queste barche annegate nel porto
barchette
blu affondate lente nell’acqua
dove
galleggiano in superficie giubbotti arancioni e scarpe e vite
e
sussurrano la passata presenza a bordo
di
uomini.
Contrada Imbriacola
È
una strada brulla, sterrata, celata,
tra
odori di finocchio e oleandro; pini nelle lontananze ombre,
una
stradina di campagna per andare in bicicletta spensierata
ma
poi, il filo spinato.
Il
cancello alto ben riconoscibile delle carceri nuove di zecca per migranti; una
valle come tomba, dove nascondere e seppellire “invisibili” neri a turisti
bianchi ignari, sul mare di latte.
Recita
così un articolo di giornale che baristi e alberghieri dell’isola affiggono
sulle porte dei loro commerci, per ostentare l’unica verità isolana: questi non
si vedono, non esistono. Non si devono vedere, il centro è celato, svanisce
dentro gli anfratti della roccia, architettura del nascondere.
Qui,
in fondo a questa strada, si sta svolgendo una delle peggiori violazioni dei
diritti umani dell’Italia contemporanea. Donne, bimbi e uomini vengono privati
della loro libertà senza motivo, senza aver commesso alcun reato, oltre quello
di essere appena sbarcati come migranti, di cercare da noi un approdo.
È
filo spinato.
Incontro
con il disumano. L’incarcerazione illegale di uomini, raggruppati, rinchiusi e
limitati, circoscritti in una nuova categoria di pensiero: “clandestini”.
Parqués, dérobés de leur liberté, militarisation totale,
policiers armés d’ordres et d’insultes.
Nelle
stanze delle perquisizioni, i poliziotti sono uniformi e manganelli contro
uomini nudi in mutande, sì sei in mutande perquisito, vieni picchiato è il
momento della vulnerabilità.
Hommes maigres de voyages et de blessures ouvertes face
aux rambos armés jusqu’aux dents. Il suffirait de changer les uniformes et les
murs
les barbelés sont les mêmes, pareils, les murs de
garde, les milices et les tours de vue et de contrôle, les radios, les ordres
des chefs, la hiérarchie.
Mêmes les images, celles de l’Histoire, toujours le
retour de la même négation de l’autre, le même avillissement, la même réduction
à rien.
Mêmes les fils barbelés dans le visage. Mêmes les
visages derrière le fil barbelé. Toujours. Encore.
Même si les visages sont noirs, de l’Afrique, Congo,
Côte d’Ivoire, Tunisie, Libye, Somalie.
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Profughi africani sbarcati a Lampedusa (2011)
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27
agosto 2011
Io
tra filo spinato e odori di finocchio e di oleandro per le strade di campagna, il
mare in fondo sempre blu e macchiato è un tuffo impossibile, vado verso il
centro nascosto.
Le
Ong cosiddette “umanitarie” sono semplici marionette, complici dell’inaccettabile.
“Nessuna
valutazione della ‘riduzione del danno può giustificare un silenzio che ormai
diventa vera e propria complicità”, come scrive Fulvio Vassallo Paleologo
(Melting Pot, 27 agosto 2011).
Se fosse accoglienza la
porta sarebbe aperta
Une Afrique entière est parquée là sans raison. Son seul
tort? D’être débarquée et d’être perçue
comme une invasion barbare. Les voilà les faibles
envahisseurs fragiles assoiffés, démunis, larves de bateaux, réduits à prisons
sans règles ni raison, seul le droit du plus fort.
Carcere,
atmosfera di carcere. Stanze di perquisizione, l’identificazione si fa su squallide
panchine di cemento, anche la mensa dove i pasti vengono buttati come ai cani.
Se fosse accoglienza la
porta sarebbe aperta
Muraglie
di poliziotti carabinieri militari centro blindato super armato, di razzismo e di
filo spinato, come se avessimo svuotato il Paese dalle sue forze di poliziotti,
carabinieri, militari per radunarle a Lampedusa. Per prepararsi al gigantesco assedio
delle forze bianche contro poveri e magri uomini nudi.
27
agosto 2011
Bimbi
migranti chiedono una merendina dalla macchinetta automatica desiderata. Militari
burrascosi e forti gli vietano l’accesso, gridando i soliti insulti, “non avrai
fame, è Ramadan”, nel razzismo ordinario del linguaggio delle forze dell’ordine.
Mi sfiora il dubbio, che diventa presto certezza che, all’origine di questo
disumano, serpeggia il pensiero latente che questi non sono davvero “uomini”. Non
sono uguali: possono essere parcheggiati, spostati, trasferiti, spintonati,
sorvegliati, assettati, detenuti, nella filiazione leghista di questo pseudo progetto
di “accoglienza” violenta.
Nello
sbarco dell’altra notte, 200 tunisini giungono e sono trasferiti nel centro,
identificati con violenze, spintonamenti, bastonate, percosse. L’istituzione
chiusa rende tutti violenti e complici, carcerati e carcerieri e complici, in
una sola gerarchia dell’istinto di morte.
30
agosto 2011
In
questo carcere anche le Ong più agguerrite si trasformano in gentili burattini
istituzionali, la frontiera mentale dell’“ordine”, della sicurezza colonizza
anche quelli che dovrebbero dedicarsi alla tutela dei migranti e alla difesa
dei diritti umani. Perdono, smarriscono il loro “vedere”, la capacità di distinguere
radicalmente l’umano dal disumano.
La
capacità di reagire.
Ieri,
rivolta dei Tunisini, per la pressione della polizia, l’assenza di dignità e i
trattamenti degradanti della persona. Hanno occupato il molo Favarolo in segno
di protesta (anche per via dei rimpatri illegali avvenuti questi ultimi giorni fino
a questa mattina); “siamo trattati come animali”, “il pranzo ci è stato buttato
in faccia”, “siamo stati picchiati dopo pranzo”, “a volte anche con le pistole
in mano”, “même les chiens ne peuvent vivre ici”, “le lit n’est pas propre”,
“io non voglio rimanere qua, ho familiari in Francia, perché non mi lasciate
andare?”
Il più difficile: preservare,
tenere acuto il proprio vedere.
1
settembre 2011
Un
évènement historique grave avant d’etre reconnu et nommé, n’a pas le statut de
fait historique. Il le devient en étant nommé, reconnu ou combattu. Les desaparecidos de la dictature argentine
sont devenus “desaparecidos” une fois identifiés, reconnus, et dénommés par
l’histoire officielle, révélés grâce à l’organisation de la résistance humaine.
Ils existent.
Chi
sono i migranti detenuti nei Cie, Cara e Cspa del dopo decreto-sicurezza, prima
che diventi evento storico, riconoscibile dalla Storia e etichettato come “il
periodo del regime Berlusconiano-leghista”? Come chiamare quei luoghi di
internamento disumano e degradante della persona? Quegli uomini migranti che un
razzismo strisciante non pensa veramente come uomini.
Je suis une sorte de témoin proto-historique des
violations des droits de l’homme sur le sol italien – immigrés parqués, umiliés
(et peut-être torturés) mais avant que ces détentions brutales et violentes
n’acquièrent un statut de “fait historique”, ils n’intéressent personne, sont
un “non-fait”. Une violation devient historique (avec
un grand H) avec l’enquête de l’histoire, la reconnaissance de l’histoire
officielle et le travail du temps peut-être?
Mais
qu’est ce qui distingue les Cie Cara, Cspa, des camps? Certes, ils ne sont pas éliminés, il n’ y a pas de gas
et il y a une façade d’accueil humain. Mais ces hommes sont déportés, rapatriés
ou parqués, détenus de force, sans connaissance de leurs droits, déplacés, transférés,
enfermés comme des non-personnes, des objets. Un état de non-droit, produit de
la sous-culture léghiste qui habite, pervertit et légitime les forces de
l’ordre.
Sento, afferro, vedo,
il lento virus del non vedere
Il
rischio di accettare di non ribellarsi più. Questi sono uomini. Quant’è facile
per le forze dell’ordine la brutalità per ridurli a “sotto” uomini, quant’è
facile per i testimoni scivolare nell’accettare nel diventare complici
dell’autorità. Accettare il non lottare. Bastano queste gabbie e griglie e
serrature, cancelli e insulti, quei materassi puzzolenti pieni di pulci senza lenzuola,
questi loro corpi malconci ridotti alla dipendenza, resi disabili dalla
violenza. Dall’annullamento.
Sguardi
neri dell’incomprensione infinita, è Italia questa? Nessuno li degna mai di una
spiegazione di communicarli quanto durerà questo “trattenimento”.
Se fosse un centro di
accoglienza la porta sarebbe aperta
Ma
è un carcere davvero e l’intento è un altro. Parcheggiarli umiliarli, degradarli,
inculcargli nel corpo, nelle lacrime, nel dolore, nell’umiliazione, la voglia e
la sete di tornare indietro, disgustarli dell’Europa, deluderli, farli vomitare
i pasti indigesti, degradarli dietro muri e muraglie, gettargli le merendine
come si farebbe a cani animali, migranti-bestie, resi non umani dal pensiero
latente della loro “inferiorità”, fascismo che sale, ovunque, lo sento, la mente
violenta si porge alla guida dell’Europa.
Non si può inserire dell’umano là
dove c’è il disumano (come s’illudono le Ong accecate dalla ideologia
umanitaria in stile Croce Rossa). Le déshumain doit d’abord être déraciné, il
disumano va prima sradicato.
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Immigrati detenuti nel Cie di Lampedusa
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1
settembre 2011
Ils
disent un homme a avalé un néon, ils ne font rien. Ils ne bougent pas.
Dicono.
Un uomo ha inghiottito una lampadina neon, non corrono.
3
settembre 2011
Poesia
delle barche spiaggiate nell’entroterra, ovunque arenate, con le loro scritte
arabe
persino
il mare è così straniero su quest’isola che ondeggia su troppe storie di
naufraghi
puntino
blu all’orizzonte onnipresente ma irraggiungibile
barche
blu slavate, approdi e salsedine mi piace la parola
quelle
barche hanno perso la via del loro mare.
7
settembre 2011
Mi
chiedevo, dopo la riunione di tutte le forze dell’ordine, Guardia delle
Finanze, Prefetto, Asl, umanitari, cosa pensassero in fondo. Le parole ben
presto sono dette: “sicurezza”. Solo un pensiero del migrante come pericolo,
nemico, può spiegare quella detenzione in gabbia sotto il potere e la
sorveglianza totale 24 ore su 24 della polizia.
La
persona è scomparsa, è rimasto il fantasma del migrante.
8 settembre 2011
Gioia
oggi di vedere i bimbi ribelli sfuggiti alla fame, farsi il bagno, mettendo in
scacco schiere di poliziotti.
Oggi
è bello il bagno al mare dei bambini ribelli e irrazionali,
cercavano
solo la loro libertà, un po’ più avanti…
sì
lì nel mare profondo… più avanti sì…
due
passi nel mare sfuggendo ai poliziotti ridicole marionette di un ordine
fantomatico
sì
lì… più avanti… nel mare… la libertà.
Tutti
fanno la stessa negazione della realtà, non volere vedere il disumano della
detenzione, rimuovendolo, facendo come se non ci fosse. Anzi, persino le Ong,
gli articoli di giornali vogliono legittimare a tutti costi la detenzione, come
se fosse diritto dello Stato, rendere permanente l’istinto di morte.
Se fosse stata
accoglienza la porta sarebbe aperta
10
settembre 2011
Gli
sbarchi li avete creati voi con la vostra televisione sempre accesa, avete
piantato sogni nel cuore di giovani uomini che poi respingete o murate vivi,
pur di non salutarli.
20
settembre 2011
Il
centro Contrada Imbriacola brucia nella rabbia dell’identità negata, non per
via della sicurezza assente come richiede
un accecato Partito democratico, che non ha mai cercato di capire l’identità
umana.
Ovunque,
questi centri di detenzione e espulsione ci dicono dell’annullamento, della
costruzione di una seconda umanità, diversa perché rinchiusa, denudata,
maltrattata, picchiata, nemica, dopo essere stata colonizzata, ricolonizzata
ancora, parcheggiata.
Ovunque
nel paese i Cie bruciano, legittime rivolte echeggiano, segno
dell’inadeguatezza del sistema di gestione violenta dell’immigrazione. Questi
sono gli uomini che in alcuni mesi hanno sfidato regimi dittatoriali e fatto
crollare intere dittature, ora rinchiusi, negati, attaccati nella loro incolumità
e nella loro identità, derubati dai loro sogni, resistono e si ribellano, ora
sfidano il sistema carcerario, il crimine di Stato, l’illegalità di una
detenzione infondata.
I
Cie bruciano per l’assenza di dignità umana, per il mancato riconoscimento
dell’uguaglianza della mente umana, per la repressione dei loro sogni,
si
poteva, si doveva, inventare un’accoglienza.
Se fosse stata accoglienza.
Lampedusa, settembre 2011
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Il Centro di internamento di Lampedusa bruciato dai suoi 'ospiti'
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