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DIARIO D’AUTORE (30)
Se fosse accoglienza la porta sarebbe aperta


      
Lampedusa 2011: una testimonianza dal fronte della sofferenza dei profughi e della repressione statale a sfondo razzista. Un resoconto insieme vivido e poetico, duro e lucido di come sull’isola siciliana ‘non’ vengono accolte le migliaia di fuggitivi africani, stipati come carcerati nei famigerati Cie e ridotti a ‘non persone’, a ‘sottouomini’. Una illegale e abbrutente detenzione che reclama di essere riconosciuta e denunciata per quel che è: un luogo di internamento disumano e degradante. È Italia questa?
      



      


di Flore Murard-Yovanovitch

 

 

25 agosto 2011

 

Subitement du ciel tu comprends tout. C’est un point dans la mer

une bouée une roche un ancrage sur la traversée, une ancre un port où amarrer

un bout de terre arabe dans la mer avec ses palmes et ses palais qui évoquent et appellent l’autre rive.

Qualche agave in equilibrio sulla roccia

puntino giallo nel mare, palma e vento da un’altra riva.

Araba.

 

26 agosto 2011, molo Favarolo

 

Strane queste barche annegate nel porto

barchette blu affondate lente nell’acqua

dove galleggiano in superficie giubbotti arancioni e scarpe e vite

e sussurrano la passata presenza a bordo

di uomini.

 

Contrada Imbriacola

 

È una strada brulla, sterrata, celata,  

tra odori di finocchio e oleandro; pini nelle lontananze ombre,

una stradina di campagna per andare in bicicletta spensierata

ma poi, il filo spinato.

Il cancello alto ben riconoscibile delle carceri nuove di zecca per migranti; una valle come tomba, dove nascondere e seppellire “invisibili” neri a turisti bianchi ignari, sul mare di latte.

Recita così un articolo di giornale che baristi e alberghieri dell’isola affiggono sulle porte dei loro commerci, per ostentare l’unica verità isolana: questi non si vedono, non esistono. Non si devono vedere, il centro è celato, svanisce dentro gli anfratti della roccia, architettura del nascondere.

Qui, in fondo a questa strada, si sta svolgendo una delle peggiori violazioni dei diritti umani dell’Italia contemporanea. Donne, bimbi e uomini vengono privati della loro libertà senza motivo, senza aver commesso alcun reato, oltre quello di essere appena sbarcati come migranti, di cercare da noi un approdo.

È filo spinato.

Incontro con il disumano. L’incarcerazione illegale di uomini, raggruppati, rinchiusi e limitati, circoscritti in una nuova categoria di pensiero: “clandestini”.

Parqués, dérobés de leur liberté, militarisation totale, policiers armés d’ordres et d’insultes.

Nelle stanze delle perquisizioni, i poliziotti sono uniformi e manganelli contro uomini nudi in mutande, sì sei in mutande perquisito, vieni picchiato è il momento della vulnerabilità.

 

Hommes maigres de voyages et de blessures ouvertes face aux rambos armés jusqu’aux dents. Il suffirait de changer les uniformes et les murs

les barbelés sont les mêmes, pareils, les murs de garde, les milices et les tours de vue et de contrôle, les radios, les ordres des chefs, la hiérarchie.

Mêmes les images, celles de l’Histoire, toujours le retour de la même négation de l’autre, le même avillissement, la même réduction à rien.

Mêmes les fils barbelés dans le visage. Mêmes les visages derrière le fil barbelé. Toujours. Encore.

Même si les visages sont noirs, de l’Afrique, Congo, Côte d’Ivoire, Tunisie, Libye, Somalie.





Profughi africani sbarcati a Lampedusa (2011)


27 agosto 2011

 

Io tra filo spinato e odori di finocchio e di oleandro per le strade di campagna, il mare in fondo sempre blu e macchiato è un tuffo impossibile, vado verso il centro nascosto.

 

Le Ong cosiddette “umanitarie” sono semplici marionette, complici dell’inaccettabile.

“Nessuna valutazione della ‘riduzione del danno può giustificare un silenzio che ormai diventa vera e propria complicità”, come scrive Fulvio Vassallo Paleologo (Melting Pot, 27 agosto 2011).

 

Se fosse accoglienza la porta sarebbe aperta

 

Une Afrique entière est parquée là sans raison. Son seul tort? D’être débarquée et d’être perçue

comme une invasion barbare. Les voilà les faibles envahisseurs fragiles assoiffés, démunis, larves de bateaux, réduits à prisons sans règles ni raison, seul le droit du plus fort.

Carcere, atmosfera di carcere. Stanze di perquisizione, l’identificazione si fa su squallide panchine di cemento, anche la mensa dove i pasti vengono buttati come ai cani.

 

Se fosse accoglienza la porta sarebbe aperta

 

Muraglie di poliziotti carabinieri militari centro blindato super armato, di razzismo e di filo spinato, come se avessimo svuotato il Paese dalle sue forze di poliziotti, carabinieri, militari per radunarle a Lampedusa. Per prepararsi al gigantesco assedio delle forze bianche contro poveri e magri uomini nudi.

 

27 agosto 2011

 

Bimbi migranti chiedono una merendina dalla macchinetta automatica desiderata. Militari burrascosi e forti gli vietano l’accesso, gridando i soliti insulti, “non avrai fame, è Ramadan”, nel razzismo ordinario del linguaggio delle forze dell’ordine. Mi sfiora il dubbio, che diventa presto certezza che, all’origine di questo disumano, serpeggia il pensiero latente che questi non sono davvero “uomini”. Non sono uguali: possono essere parcheggiati, spostati, trasferiti, spintonati, sorvegliati, assettati, detenuti, nella filiazione leghista di questo pseudo progetto di “accoglienza” violenta.

Nello sbarco dell’altra notte, 200 tunisini giungono e sono trasferiti nel centro, identificati con violenze, spintonamenti, bastonate, percosse. L’istituzione chiusa rende tutti violenti e complici, carcerati e carcerieri e complici, in una sola gerarchia dell’istinto di morte.

 

30 agosto 2011

 

In questo carcere anche le Ong più agguerrite si trasformano in gentili burattini istituzionali, la frontiera mentale dell’“ordine”, della sicurezza colonizza anche quelli che dovrebbero dedicarsi alla tutela dei migranti e alla difesa dei diritti umani. Perdono, smarriscono il loro “vedere”, la capacità di distinguere radicalmente l’umano dal disumano.

La capacità di reagire.

Ieri, rivolta dei Tunisini, per la pressione della polizia, l’assenza di dignità e i trattamenti degradanti della persona. Hanno occupato il molo Favarolo in segno di protesta (anche per via dei rimpatri illegali avvenuti questi ultimi giorni fino a questa mattina); “siamo trattati come animali”, “il pranzo ci è stato buttato in faccia”, “siamo stati picchiati dopo pranzo”, “a volte anche con le pistole in mano”, “même les chiens ne peuvent vivre ici”, “le lit n’est pas propre”, “io non voglio rimanere qua, ho familiari in Francia, perché non mi lasciate andare?”

 

Il più difficile: preservare, tenere acuto il proprio vedere.

 

1 settembre 2011

 

Un évènement historique grave avant d’etre reconnu et nommé, n’a pas le statut de fait historique. Il le devient en étant nommé, reconnu ou combattu. Les desaparecidos de la dictature argentine sont devenus “desaparecidos” une fois identifiés, reconnus, et dénommés par l’histoire officielle, révélés grâce à l’organisation de la résistance humaine. Ils existent.

Chi sono i migranti detenuti nei Cie, Cara e Cspa del dopo decreto-sicurezza, prima che diventi evento storico, riconoscibile dalla Storia e etichettato come “il periodo del regime Berlusconiano-leghista”? Come chiamare quei luoghi di internamento disumano e degradante della persona? Quegli uomini migranti che un razzismo strisciante non pensa veramente come uomini.

Je suis une sorte de témoin proto-historique des violations des droits de l’homme sur le sol italien – immigrés parqués, umiliés (et peut-être torturés) mais avant que ces détentions brutales et violentes n’acquièrent un statut de “fait historique”, ils n’intéressent personne, sont un “non-fait”. Une violation devient historique (avec un grand H) avec l’enquête de l’histoire, la reconnaissance de l’histoire officielle et le travail du temps peut-être?

Mais qu’est ce qui distingue les Cie Cara, Cspa, des camps? Certes, ils ne sont pas éliminés, il n’ y a pas de gas et il y a une façade d’accueil humain. Mais ces hommes sont déportés, rapatriés ou parqués, détenus de force, sans connaissance de leurs droits, déplacés, transférés, enfermés comme des non-personnes, des objets. Un état de non-droit, produit de la sous-culture léghiste qui habite, pervertit et légitime les forces de l’ordre.

 

Sento, afferro, vedo, il lento virus del non vedere

 

Il rischio di accettare di non ribellarsi più. Questi sono uomini. Quant’è facile per le forze dell’ordine la brutalità per ridurli a “sotto” uomini, quant’è facile per i testimoni scivolare nell’accettare nel diventare complici dell’autorità. Accettare il non lottare. Bastano queste gabbie e griglie e serrature, cancelli e insulti, quei materassi puzzolenti pieni di pulci senza lenzuola, questi loro corpi malconci ridotti alla dipendenza, resi disabili dalla violenza. Dall’annullamento.

Sguardi neri dell’incomprensione infinita, è Italia questa? Nessuno li degna mai di una spiegazione di communicarli quanto durerà questo “trattenimento”.

 

Se fosse un centro di accoglienza la porta sarebbe aperta

 

Ma è un carcere davvero e l’intento è un altro. Parcheggiarli umiliarli, degradarli, inculcargli nel corpo, nelle lacrime, nel dolore, nell’umiliazione, la voglia e la sete di tornare indietro, disgustarli dell’Europa, deluderli, farli vomitare i pasti indigesti, degradarli dietro muri e muraglie, gettargli le merendine come si farebbe a cani animali, migranti-bestie, resi non umani dal pensiero latente della loro “inferiorità”, fascismo che sale, ovunque, lo sento, la mente violenta si porge alla guida dell’Europa.

 

Non si può inserire dell’umano là dove c’è il disumano (come s’illudono le Ong accecate dalla ideologia umanitaria in stile Croce Rossa). Le déshumain doit d’abord être déraciné, il disumano va prima sradicato.





Immigrati detenuti nel Cie di Lampedusa


1 settembre 2011

 

Ils disent un homme a avalé un néon, ils ne font rien. Ils ne bougent pas.

Dicono. Un uomo ha inghiottito una lampadina neon, non corrono.

 

3 settembre 2011

 

Poesia delle barche spiaggiate nell’entroterra, ovunque arenate, con le loro scritte arabe

persino il mare è così straniero su quest’isola che ondeggia su troppe storie di naufraghi

puntino blu all’orizzonte onnipresente ma irraggiungibile

barche blu slavate, approdi e salsedine mi piace la parola

quelle barche hanno perso la via del loro mare.

 

7  settembre 2011

 

Mi chiedevo, dopo la riunione di tutte le forze dell’ordine, Guardia delle Finanze, Prefetto, Asl, umanitari, cosa pensassero in fondo. Le parole ben presto sono dette: “sicurezza”. Solo un pensiero del migrante come pericolo, nemico, può spiegare quella detenzione in gabbia sotto il potere e la sorveglianza totale 24 ore su 24 della polizia.

La persona è scomparsa, è rimasto il fantasma del migrante.

 

8  settembre 2011

 

Gioia oggi di vedere i bimbi ribelli sfuggiti alla fame, farsi il bagno, mettendo in scacco schiere di poliziotti.

Oggi è bello il bagno al mare dei bambini ribelli e irrazionali,

cercavano solo la loro libertà, un po’ più avanti…

sì lì nel mare profondo… più avanti sì…

due passi nel mare sfuggendo ai poliziotti ridicole marionette di un ordine fantomatico

sì lì… più avanti… nel mare… la libertà.

 

Tutti fanno la stessa negazione della realtà, non volere vedere il disumano della detenzione, rimuovendolo, facendo come se non ci fosse. Anzi, persino le Ong, gli articoli di giornali vogliono legittimare a tutti costi la detenzione, come se fosse diritto dello Stato, rendere permanente l’istinto di morte.

 

Se fosse stata accoglienza la porta sarebbe aperta

 

10 settembre 2011

 

Gli sbarchi li avete creati voi con la vostra televisione sempre accesa, avete piantato sogni nel cuore di giovani uomini che poi respingete o murate vivi, pur di non salutarli.

 

20 settembre 2011

 

Il centro Contrada Imbriacola brucia nella rabbia dell’identità negata, non per via della sicurezza  assente come richiede un accecato Partito democratico, che non ha mai cercato di capire l’identità umana.

Ovunque, questi centri di detenzione e espulsione ci dicono dell’annullamento, della costruzione di una seconda umanità, diversa perché rinchiusa, denudata, maltrattata, picchiata, nemica, dopo essere stata colonizzata, ricolonizzata ancora, parcheggiata.

Ovunque nel paese i Cie bruciano, legittime rivolte echeggiano, segno dell’inadeguatezza del sistema di gestione violenta dell’immigrazione. Questi sono gli uomini che in alcuni mesi hanno sfidato regimi dittatoriali e fatto crollare intere dittature, ora rinchiusi, negati, attaccati nella loro incolumità e nella loro identità, derubati dai loro sogni, resistono e si ribellano, ora sfidano il sistema carcerario, il crimine di Stato, l’illegalità di una detenzione infondata.

I Cie bruciano per l’assenza di dignità umana, per il mancato riconoscimento dell’uguaglianza della mente umana, per la repressione dei loro sogni,

si poteva, si doveva, inventare un’accoglienza.

 

Se fosse stata accoglienza.

 

 

Lampedusa, settembre 2011





Il Centro di internamento di Lampedusa bruciato dai suoi 'ospiti'





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