Da: Il libro dell'oppio 1975 – 1990, con
postfazione di Mauro Ferrari, Puntoacapo Editrice, Novi Ligure, 2012.
Flash (Poema dell’eroina)
Il tempo di un sospiro
sprizza il sangue
nella plastica
elastika
e injection
suspirosa
ella trans-trahere
transeunte
di felicità
fugacissima
et intensissima
trans/actraversa
attraversante
dal braccio alla
schiena
come rampante
graffio
salgono ragni di
piacere
mi colpiscono
(pugnalano) alle spalle
piacere
arrabbiato,
cattivo.
Testa piena full
flash acqua
nulla dimentichi
intontito dai
pugni dell’orgasmo
non l’org-chiasmo
non l’edonistico
drappeggio
non quel
pochissimo
che già muore
e ti lascia a
fissare
la strada che
scorre
e dici voglio
ricordare
questo momento
questo sfuggire
infinito
del temporaneo, un
istante immenso
dilatato
che fluisce
voglio ricordarlo
e questo è tutto
è dio
è il meglio della
vita
dei suoi aculei
del suo plasma
addensante
archetipi
l’origine
la malattia della
vita
equilibra
getta oro sulla
bilancia
barbara (venduto
al mondo)
ti stressa il
cuore innamorato
ti innamori
guardi quelle luci
correre lungo la strada
sto appoggiata a
un fanale
a un obelisco di
pietre lisce
e vedo
l’universo in
strisce colorate
e riflettendo
linee di colore
fari delle cars oh
America!
lontana
tutto quello che
posso graffiare via
lo prendo nelle
mani stanche
negli occhi del
mio stupore
scorri strada
scorri via
scorrete case
macchine
notti luminose
riflessi di
pioggia
la mia giubba di
pelle con sinistri bagliori
mi stringe sono un
piccolo dio
mi abbraccia
mi lega
ferrea come una
camicia di forza
e ti guardo notte
negli occhi con
tutto il mio coraggio
codardo
di tossicomane
fallito arrabbiato
onore al
fallimento
cipria su noi
cadaveri
(risucchiati
scheletri aulenti
nuda polvere di
morte)
pregate
ma annotate nei vostri
libri maledetti
che io sono nato
oggi
che ho tutto
tutto è l’universo
è
quella poderosa
scia.
Ella declina nel sonno
nei soffici sogni
carezzevoli
come carezze di
amante delicato fraterno
e lascia correre
ragni agli angoli della stanza
cattivo taglio,
presagio
striature nere di
delirio
e tuttavia ricordo
(senza timore)
solo molle delirio
d’ombra
tu steso sul
materasso morente
io a darti
salvezza in piccole gocce nere
noi risorgemmo dal
nostro inferno come lievi angeli
con il solletico
di dio nelle vene giudiziose
graffiate da
artigli, aghi come baci
sul paradiso sull’infermo
non ho niente da
aggiungere
non mi pento
nulla aborrisco
del mio sangue
rabbioso
delle sue
effervescenti bollicine
di frizzante amore
universale
di universo
universo
ubi/verso
dove stai tu di
casa
sotto gli imbrogli
della mia quotidiana
brama di afflitto
afflitto per voi
inermi spettatori
della mia
decadenza e demenza
del mio suicidio
alienato e
della vita
suicidaria
ma io costruisco
mattoni di un muro possente
una barriera indecifrabile
di cellule, un
chimico muro
nei cancelli del
cervello
non dire oblio
non dirmi folle
costruisco una
vita liberata dal peso della vita
lasciami correre
come un angelo nella giungla
so delle tigri
straziate
dalla colpa
uccidere
per bisogno
lasciami libero
i graffi bianchi
sulla mia schiena mi sciolgono
e devolvono
come vivo senza
quel peso della materia
senza quella
raucedine di mille sigarette
fumate a catena,
fumo ‒
vivo leggero come
il fulmine
come la
persistenza come la meteora
dimmi che mi comprendi
o dimmi che mi odi
ho la potenza del
suono e degli eventi
ora lascio scemare
l’oltraggio
alla mia carne
tremula
domani sarà paura
e vuoto
sarò un fantoccio
di stracci implorante
la rabbia di dio
dirà le mie colpe
e io aspetterò di
nuovo per strada
lacrimando come un
penitente
con i coltelli
negli occhi
e aspetterò
pregando l’ora della siringa e delle linee
l’acqua che
supplizia le mie vene
all’altezza del
giorno deambulante pensoso
aspetterò come
Cristo sulla croce
la resurrezione
l’acqua e il
fuoco,
l’amore infinito,
eroina.
1984
*
Dal poema: Africa
e altro. Sequenza instabile e numerata, in Caterina Davinio, Aspettando
la fine del mondo, con traduzione inglese a fronte, postfazione di Erminia
Passannanti e nota critica di David W. Seaman, Fermenti, Roma 2012.
1
Vi
chiedo perdono
perché la notte
africana
ha devastato il
mio impero.
Non più storie
né malefici,
solo questo
frinire
della notte,
di creature
occulte
ansimanti,
di respiro
pulsante;
ciò che è perso,
che si rintana
nelle viscere
della terra rossa,
noi non
sapevamo,
quel sangue nelle
dita,
perché è
impossibile parlare d’Africa,
patria degli
umani,
maledizione
arcaica e
contemporanea;
Africa,
tu mi dicesti il
leopardo,
le sue scorribande
nella selva,
tu mi dicesti
guerra,
gli uomini soli,
il loro orizzonte,
la morte della
speranza,
la cupidigia,
l’orrore.
Io
aspettavo
nella boscaglia
umida,
correvo tra le
sponde
e i deserti,
le mangrovie e il
fremito
assolato della
savana,
nella giungla di
scimmie curiose,
sulle saline
arroventate,
e piansi per la
tua
forza,
piansi di pudore
per le tue
battaglie.
Possedevo un disco
di fuoco,
l’immaginazione
infinita,
e li scagliai
nelle tue ombre
per non perdere
l’universo
dispiegato.
Ferito,
piagato a sangue.
*
Da: Caterina Davinio, Fenomenologie seriali, con
traduzione inglese a fronte, postfazione di Fancesco Muzzioli e nota critica di
David W. Seaman, Campanotto, Pasian di Prato (UD), 2010.
Il fruscìo della carta
I
Il fruscio della carta
Quello stridore di sangue
E l’immane pesantezza
Della volontà
E la paziente gridò:
Dove sono i miei bambini!
Dove il tempo
Ha lacerato e disperso
Mio padre che ciabatta nell’ombra,
come un fantasma
Ma poi all’improvviso
Il tempo
Ricominciò, mi fece il verso
Lo strappo si richiuse
E non trovammo ragioni
Per quanto era successo.
II
Dove sono i miei figli
E strappati i capelli
Piangeva la perdita
Della pietà
La distanza
L’ora dannata in cui
Riconobbe quel tangibile ostile
della materia
Come se la vita
Negata e persa
Come se il tempo
Avesse messo radici
Troppo nel mezzo,
Un troppo che aveva consumato tutto.
E cosa ancora
Se non impronunciabili
Giocattoli
E le membra sfinite
La fatica immensa del bianco
E il fruscio pauroso
Della carta
La parabola infinibile
Della parola introvata,
Della sfera perfetta
La danza macabra delle dita sui tasti.
III
Eppure il fatto si colorò di rosso vero
Ella parlava, e cantò
Passato e fine
Ma.
Dove sono i miei bambini
Medea
Il sangue neutrale e astratto
Le ossa dolevano spezzate
Eppure riempiva
Il boccale
Col vuoto.
Nulla corrisponde all’esattezza del
(Campo piatto, fieno stinto)
Colluso con la fine
Sozzo di crimini prosciolti
Vergognoso di salvezza non accordata
Di incidenti
Di casi della ragione
Di rosso dell’anima
Di porpora tribunalizia
E di trasparente
Polito
Rinverdito
E ostile fruscìo della carta
Tu mi ricordi il mio giorno migliore
Tu mi ricordi il mio giorno di morte
Il rantolo.
Dove sono i bambini
Dov’è Tem, e Temoi
Testimoni
Delle mie membra giovani
Dove sono io?
IV
Sogni non v’erano da tempo
Il sonno un buco nero
Smorzava
L’intimo
Della camera da letto
E il mio involucro pesa
Come un macigno.
Pure quella morte continua
Possedeva un duttile
Equilibrio
Di lutto, il senso perso
Le lacrime non piante
Non raccolte
Non versate
Non.
Amore, dicevo un tempo
E Amore mi rispose:
Amore.
Tutto era rosso
E niente forte come la pietà.
2003
* Caterina Davinio (Foggia, 1957) è
cresciuta a Roma, dove dopo la laurea in lettere all’Università La Sapienza si
è occupata d’arte contemporanea e nuovi media. È uno dei pionieri
internazionali della poesia digitale, con attività espositiva, convegnistica e
curatoriale in molti paesi del mondo, nell’ambito della quale si segnala la
partecipazione a oltre trecento mostre in Europa, Asia, Americhe, Australia,
fra queste più edizioni della Biennale di Venezia, la biennale di Sydney, di
Lione, di Atene, la Biennale dei Nuovi Media di Merida e i festival di poesia
multimediale: E-Poetry a Buffalo (NY)
e a Barcellona, Polyphonix a
Barcellona e a Parigi, e il Festival internazionale di poesia di Medellín. Ha
ricevuto numerosi riconoscimenti da parte della critica italiana e straniera,
per opere letterarie e artistiche. Tra le pubblicazioni: i romanzi Il sofà
sui binari (Puntoacapo, 2013), Còlor
còlor (Campanotto, 1998); i libri di poesia: Aspettando la fine del mondo (Fermenti, 2012), Il libro dell'oppio 1975 – 1990 (Puntoacapo, 2012), Fenomenologie seriali, (Campanotto,
2010); il saggio Tecno-Poesia e realtà
virtuali (Sometti, 2002) e la raccolta di scritti sulla poesia elettronica Virtual Mercury House. Planetary & Interplanetary Events (Polìmata,
2012).