CHECKPOINT POETRY
CATERINA DAVINIO
 

 

 

Da: Il libro dell'oppio 1975 – 1990, con postfazione di Mauro Ferrari, Puntoacapo Editrice, Novi Ligure, 2012.

 

 

Flash (Poema dell’eroina)

 

Il tempo di un sospiro

sprizza il sangue

nella plastica elastika

e injection suspirosa

ella trans-trahere transeunte

di felicità fugacissima

et intensissima

trans/actraversa attraversante

dal braccio alla schiena

come rampante graffio

salgono ragni di piacere

mi colpiscono (pugnalano) alle spalle

piacere

arrabbiato,

cattivo.

Testa piena full flash acqua

nulla dimentichi

intontito dai pugni dell’orgasmo

non l’org-chiasmo

non l’edonistico drappeggio

non quel pochissimo

che già muore

e ti lascia a fissare

la strada che scorre

e dici voglio ricordare

questo momento

questo sfuggire infinito

del temporaneo, un istante immenso

dilatato

che fluisce

voglio ricordarlo

e questo è tutto

è dio

è il meglio della vita

dei suoi aculei

del suo plasma addensante

archetipi

l’origine

la malattia della vita

equilibra

getta oro sulla bilancia

barbara (venduto al mondo)

ti stressa il cuore innamorato

ti innamori

guardi quelle luci correre lungo la strada

sto appoggiata a un fanale

a un obelisco di pietre lisce

e vedo

l’universo in strisce colorate

e riflettendo

linee di colore

fari delle cars oh America!

lontana

tutto quello che posso graffiare via

lo prendo nelle mani stanche

negli occhi del mio stupore

scorri strada

scorri via

scorrete case

macchine

notti luminose

riflessi di pioggia

la mia giubba di pelle con sinistri bagliori

mi stringe sono un piccolo dio

mi abbraccia

mi lega

ferrea come una camicia di forza

e ti guardo notte

negli occhi con tutto il mio coraggio

codardo

di tossicomane fallito arrabbiato

onore al fallimento

cipria su noi cadaveri

(risucchiati scheletri aulenti

nuda polvere di morte)

pregate

ma annotate nei vostri libri maledetti

che io sono nato oggi

che ho tutto

tutto è l’universo

è

quella poderosa scia.

 

Ella declina nel sonno

nei soffici sogni carezzevoli

come carezze di amante delicato fraterno

e lascia correre ragni agli angoli della stanza

cattivo taglio, presagio

striature nere di delirio

e tuttavia ricordo

(senza timore)

solo molle delirio d’ombra

tu steso sul materasso morente

io a darti salvezza in piccole gocce nere

noi risorgemmo dal nostro inferno come lievi angeli

con il solletico di dio nelle vene giudiziose

graffiate da artigli, aghi come baci

 

sul paradiso sull’infermo

non ho niente da aggiungere

non mi pento

nulla aborrisco del mio sangue

rabbioso

delle sue effervescenti bollicine

di frizzante amore universale

di universo universo

ubi/verso

dove stai tu di casa

sotto gli imbrogli della mia quotidiana

brama di afflitto

afflitto per voi inermi spettatori

della mia decadenza e demenza

del mio suicidio alienato e

della vita suicidaria

ma io costruisco mattoni di un muro possente

una barriera indecifrabile

di cellule, un chimico muro

nei cancelli del cervello

non dire oblio

non dirmi folle

costruisco una vita liberata dal peso della vita

lasciami correre come un angelo nella giungla

so delle tigri straziate

dalla colpa

uccidere

per bisogno

lasciami libero

i graffi bianchi sulla mia schiena mi sciolgono

e devolvono

come vivo senza quel peso della materia

senza quella raucedine di mille sigarette

fumate a catena, fumo

vivo leggero come il fulmine

come la persistenza come la meteora

dimmi che mi comprendi

o dimmi che mi odi

ho la potenza del suono e degli eventi

ora lascio scemare l’oltraggio

alla mia carne tremula

domani sarà paura e vuoto

sarò un fantoccio di stracci implorante

la rabbia di dio dirà le mie colpe

e io aspetterò di nuovo per strada

lacrimando come un penitente

con i coltelli negli occhi

e aspetterò pregando l’ora della siringa e delle linee

l’acqua che supplizia le mie vene

all’altezza del giorno deambulante pensoso

aspetterò come Cristo sulla croce

la resurrezione

l’acqua e il fuoco,

l’amore infinito,

eroina.

 

1984

 

 

*

 

 

Dal poema: Africa e altro. Sequenza instabile e numerata, in Caterina Davinio, Aspettando la fine del mondo, con traduzione inglese a fronte, postfazione di Erminia Passannanti e nota critica di David W. Seaman, Fermenti, Roma 2012.

 

1

 

Vi

chiedo perdono

perché la notte africana

ha devastato il mio impero.

 

Non più storie

né malefici,

solo questo frinire

della notte,

di creature occulte

 

ansimanti,

di respiro pulsante;

 

ciò che è perso,

che si rintana nelle viscere

della terra rossa,

noi non

sapevamo,

quel sangue nelle dita,

 

perché è impossibile parlare d’Africa,

patria degli umani,

maledizione

arcaica e contemporanea;

Africa,

tu mi dicesti il leopardo,

le sue scorribande nella selva,

tu mi dicesti guerra,

gli uomini soli,

il loro orizzonte,

la morte della speranza,

la cupidigia,

l’orrore.

 

Io

aspettavo

nella boscaglia umida,

correvo tra le sponde

e i deserti,

le mangrovie e il fremito

assolato della savana,

nella giungla di scimmie curiose,

sulle saline arroventate,

e piansi per la tua

forza,

piansi di pudore

per le tue battaglie.

 

Possedevo un disco di fuoco,

l’immaginazione infinita,

e li scagliai nelle tue ombre

per non perdere

l’universo dispiegato.

Ferito,

piagato a sangue.

 

 

*

 

 

Da: Caterina Davinio, Fenomenologie seriali, con traduzione inglese a fronte, postfazione di Fancesco Muzzioli e nota critica di David W. Seaman, Campanotto, Pasian di Prato (UD), 2010.

 

 

Il fruscìo della carta

 

I

 

Il fruscio della carta

Quello stridore di sangue

E l’immane pesantezza

Della volontà

 

E la paziente gridò:

Dove sono i miei bambini!

Dove il tempo

Ha lacerato e disperso

Mio padre che ciabatta nell’ombra,

come un fantasma

 

Ma poi all’improvviso

Il tempo

Ricominciò, mi fece il verso

Lo strappo si richiuse

E non trovammo ragioni

Per quanto era successo.

 

II

 

Dove sono i miei figli

E strappati i capelli

Piangeva la perdita

Della pietà

La distanza

L’ora dannata in cui

Riconobbe quel tangibile ostile

della materia

 

Come se la vita

Negata e persa

Come se il tempo

Avesse messo radici

Troppo nel mezzo,

Un troppo che aveva consumato tutto.

 

E cosa ancora

Se non impronunciabili

Giocattoli

E le membra sfinite

La fatica immensa del bianco

E il fruscio pauroso

Della carta

La parabola infinibile

Della parola introvata,

Della sfera perfetta

La danza macabra delle dita sui tasti.

 

III

 

Eppure il fatto si colorò di rosso vero

Ella parlava, e cantò

Passato e fine

Ma.

Dove sono i miei bambini

Medea

Il sangue neutrale e astratto

Le ossa dolevano spezzate

Eppure riempiva

Il boccale

Col vuoto.

Nulla corrisponde all’esattezza del

(Campo piatto, fieno stinto)

Colluso con la fine

Sozzo di crimini prosciolti

Vergognoso di salvezza non accordata

Di incidenti

Di casi della ragione

Di rosso dell’anima

Di porpora tribunalizia

E di trasparente

Polito

Rinverdito

E ostile fruscìo della carta

Tu mi ricordi il mio giorno migliore

Tu mi ricordi il mio giorno di morte

Il rantolo.

 

Dove sono i bambini

Dov’è Tem, e Temoi

Testimoni

Delle mie membra giovani

Dove sono io?

 

IV

 

Sogni non v’erano da tempo

Il sonno un buco nero

Smorzava

L’intimo

Della camera da letto

E il mio involucro pesa

Come un macigno.

Pure quella morte continua

Possedeva un duttile

Equilibrio

Di lutto, il senso perso

Le lacrime non piante

Non raccolte

Non versate

Non.

 

Amore, dicevo un tempo

E Amore mi rispose:

Amore.

Tutto era rosso

E niente forte come la pietà.

 

 

2003

 

 

 

*  Caterina Davinio (Foggia, 1957) è cresciuta a Roma, dove dopo la laurea in lettere all’Università La Sapienza si è occupata d’arte contemporanea e nuovi media. È uno dei pionieri internazionali della poesia digitale, con attività espositiva, convegnistica e curatoriale in molti paesi del mondo, nell’ambito della quale si segnala la partecipazione a oltre trecento mostre in Europa, Asia, Americhe, Australia, fra queste più edizioni della Biennale di Venezia, la biennale di Sydney, di Lione, di Atene, la Biennale dei Nuovi Media di Merida e i festival di poesia multimediale: E-Poetry a Buffalo (NY) e a Barcellona, Polyphonix a Barcellona e a Parigi, e il Festival internazionale di poesia di Medellín. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti da parte della critica italiana e straniera, per opere letterarie e artistiche. Tra le pubblicazioni: i romanzi Il sofà sui binari (Puntoacapo, 2013), Còlor còlor (Campanotto, 1998); i libri di poesia: Aspettando la fine del mondo (Fermenti, 2012), Il libro dell'oppio 1975 – 1990 (Puntoacapo, 2012), Fenomenologie seriali, (Campanotto, 2010); il saggio Tecno-Poesia e realtà virtuali (Sometti, 2002) e la raccolta di scritti sulla poesia elettronica Virtual Mercury House. Planetary & Interplanetary Events (Polìmata, 2012). 

 




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