L’infinito
ingresso > ( ascolta file mp3
)
Concept | Testo.
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Michele Fianco
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Musiche originali | Electronics.
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Stefano Nencha
Francesco Poeti
Gianclaudio Hashem Moniri [Kaeba]
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Audio | Durata |
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6’42’’ |
L’infinito
ingresso è il capitolo di un progetto più ampio
dal titolo Tutta una vita West! che
nasce inizialmente come opera letteraria. Da questa idea di base, l’intenzione
è quella di declinare l’opera stessa o singole parti in diversi linguaggi. Una
sorta di ‘elaborazione coordinata’ – letteratura, teatro-concerto, video –
sulla falsariga dei piani di comunicazione aziendali che constano di diverse
attività e usano diversi strumenti per promuovere argomenti, prodotti, servizi.
Ecco, in questo caso – più che di opera e più che di comunicazione – si
tratterà di un ‘piano di espressione
coordinata’.
L’infinito
ingresso, in particolare, ha come tema l’inizio come momento e come azione. E
dunque cominciare, avviare, entrare. Da un lato, in contrasto, in opposizione rispetto
a ciò che definiamo compimento o realizzazione – e che sembra per sempre
precluso dalla storia attuale. Dall’altro, come campo pressoché infinito di
possibilità e di esperienza, che porterà alla fine al ribaltamento di quella
stessa, iniziale negazione. Una sorta di epica
contemporanea che vorrebbe costituire l’aspetto sintetico e performativo di una
dimensione umana se non nuova, almeno r-innovativa. E positiva, quindi?
Il lavoro è stato
presentato il 21 giugno 2013 alla XVI edizione di Poetronics, rassegna di poesia e musica elettronica de L’Aquila, a
cura di Anna Maria Giancarli e Alessandra Di Vincenzo. Il testo è stato
precedentemente letto nel corso di Poesia
13, incontro sulla poesia contemporanea, a cura di ESCargot, tenutosi a
Rieti dal 17 al 19 maggio 2013.
L’infinito
ingresso [testo].
“Sapessi la luce che
arriva a tagliar pomeriggi e palazzi, qui, l’inverno alle tre…”
È la cura dell’alba:
riprendo l’ultimo accordo che la notte ti lascia, attendo – incredibile
l’angolo largo del sole!
“Sì, proprio quello che
scinde presente e passato; un lato poi squilla, l’altro si impolvera.”
Ma son cose che sai e
non ti posso più dire.
Vero, moderno
l’ingresso! Un passo che porta con sé, pensieri di te mai troppo lasciati. Ora
mi immagino: fresco pianeta, improvviso, natale. Intonato, poco più in là,
maggiore. Sì, così, “son le 9, mattino” sui tuoi sempre impossibili tanti. Qui
manchi, non smetti, questo dico ora, ad amore spento, amore mio, “con tutto il mio amando, firmato io”.
È tuttavetri l’entrata. Nata all’esordio di un anno e di un decennio
che fu. Anche lei qualcosa d’intimo, tuo e suggerito all’orecchio. Già, si
faceva bastare l’abbraccio. Affetto ampio, visibile e chiaro per quel lucido
marmo che no, non distoglieva nulla dal senso di te, ch’eri tu, proprio tu la
persona che stavano tutti aspettando (proprio tutti nel mondo).
I passi da fare prima
di volgere l’angolo e trovar sintonia col battito vero, uno: di tutta una vita;
due: un’altra finita, sì, eran quelli giusti. Quelli voluti. Il tuo incedere apriva
a sistemi infiniti di frasi e sciarade che eran da ridere. E scorrevano il
tempo sotto, i metri che avevi ancora e ancora da dire. Tutto molto funzionale,
cara, piaceva anche a te. Lì, furon belli i primi anni e tanto il tanto amore.
“Scusa, mi presti il
tuo sogno?”
“Veramente lo devo
finire...”
“E come ti sembra, ti
piace?”
“Beh, sì, colorato.
Pieno di mille e mille cose... Facciamo così, dai: quando finisco te lo
racconto, se vuoi.”
“Grazie, ma così non
sarebbe più un sogno. Sai, perché il sogno sia sogno, dovresti farmi entrare
ora, prima che finisca, certo... È così per i sogni.”
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