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di Gabriella De Marco
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Maria Lassnig, Woman Power
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I
due Leoni d’oro alla carriera della 55a Esposizione Internazionale di Arte
della Biennale di Venezia 2013 sono stati assegnati, come alcuni quotidiani hanno
annunciato con una certa prevedibilità, “alle due signore dell’arte” Maria Lassnig e Marisa Merz.
Tra
le motivazioni del prestigioso conferimento si legge che Lassnig
è stata premiata perché per più di sessant’anni ha lavorato sulla
rappresentazione del corpo e dell’individuo attraverso una serie di
autoritratti che hanno dato origine a
una “personale enciclopedia dell’auto-rappresentazione” che ha fatto della sua ricerca visiva uno
strumento di auto-analisi. Ancora, tra i motivi che
hanno orientato la scelta sull’artista
austriaca vi è la constatazione che “a novantatre
anni Lassnig rappresenta un esempio unico di
ostinazione e indipendenza che merita di essere celebrato (…)”.
Per
quanto riguarda, invece, il riconoscimento alla carriera di Marisa
Merz, il cui esordio risale agli anni Sessanta con una mostra tenutasi nel suo
studio torinese, questo è dettato, anche, dalla sua capacità di aver lavorato,
pur nello stretto dialogo con gli artisti dell’arte povera, su temi individuali
quali la riflessione sullo spazio domestico e intimo.
Forte
è la tentazione, dunque, da parte mia, nel commentare quello che sicuramente
nel percorso di ogni artista è un punto
di arrivo ambitissimo di non incorrere nello
scivolone della connotazione di sesso, evitando, perciò, ogni commento
sull’arte al femminile. Posto che esista – sul piano delle poetiche
– un’arte al femminile.
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Marisa Merz, Senza titolo (museo Madre di Napoli)
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Tuttavia,
se il versante delle scritture al femminile ha sempre
suscitato in me qualche perplessità sul fronte storiografico e non indiscutibilmente
sotto il profilo delle innegabili specificità, è altrettanto vero che la presa d’atto di quella che, per usare espressioni di un tempo passato, posso
definire come “la condizione della donna
in Italia, oggi” m’induce, in contraddizione con quanto ho appena affermato, a felicitarmi,
in modo particolare, per la scelta operata dalla Biennale di Venezia. Scelta che, probabilmente, nella
proposta del curatore Massimiliano Gioni, e nulla togliendo alla qualità del lavoro sia
dell’artista austriaca sia dell’italiana, ha cavalcato l’onda di un comune
sentire allineando, così, gli orientamenti culturali
degli addetti ai lavori con gli
umori e i desideri di una sempre più consistente parte della società contemporanea.
Certo,
non è la prima volta che un Leone alla carriera è conferito dalla prestigiosa
istituzione internazionale veneziana ad una personalità femminile dell’arte:
basterà ricordare, a riguardo, Agnes Martin (1997), Louise Bourgeois (1999) e
ancora Carol Rama (2003), Kruger (2005) sino nel 2009, Yoko Ono.
Non
è, dunque, considerati sia i precedenti appena ricordati sia il percorso
immaginifico di Lassnig e Merz, una questione di quote rosa. Un aspetto,
questo, a mio avviso mortificante per chi è forte del proprio lavoro, come nel
caso delle due artiste omaggiate; al contrario, si tratta di un’attestazione di
autorevolezza – da parte della Biennale – alla ricerca visiva, alla carriera,
di due significative protagoniste dell’arte attuale.
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Maria Lassnig, Decadimento fisico
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Un’indicazione
importante, quindi, innanzi tutto, come è ovvio, sia per le due artiste, pur
così diverse tra loro, sia, sotto il profilo del costume, per le donne, forse
finalmente stanche di essere considerate, nelle ipotesi migliori, brave,
affidabili, inappuntabili professionalmente ma, nella sostanza,
raramente“ geniali”.
Non
posso sapere, certo, se Marisa Merz e Maria Lassnig
abbiano apprezzato, e apprezzino, l’insistenza (compresa la mia) sulla
natura identitaria di questo premio tutto al femminile o se, invece, abbiano
provato noia se non rassegnazione, di fronte a quella che, probabilmente, deve
essere stata una costante critica che ha accompagnato la loro ricerca come quella di altre grandi personalità del Novecento,
da Frida Kahlo
a Nevelson,
da Bourgeois a Niki de Saint Phalle.
Un’invariante che indugiando sull’essere donna, può aver
sacrificato il commento approfondito sulla
ricerca artistica anche laddove questa, come nel caso di Merz, Bourgeois, Kahlo e de Saint Phalle, ha visualizzato gli archetipi femminili.
Cionostante,
pur nella consapevolezza dei limiti di un simile approccio, questo è un rischio
che ogni tanto bisogna correre proprio in considerazione del lungo percorso
creativo delle due artiste appena premiate e che permette, proprio perché costellato,
anche, da notevoli riconoscimenti internazionali
sia istituzionali sia di mercato, di
salutare i due Leoni d’Oro come una buona notizia e non solo sul versante
dell’arte. E questo sino a quando le donne dovranno conquistarsi, ancor più
degli uomini, il diritto, come avvertiva Virginia Woolf, a possedere ”una stanza tutta per sé”.
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Marisa Merz, Vogue
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