Poesie tratte
dalla silloge ANUDA
(Aletti Editore, Roma,
2011)
*
Tolgo il kimono di seta al
mio dolore.
La sua nudità porta un
nome di fiore.
*
Suono
come un’arpa
la mia ragnatela
e lascio sorridere
le mie labbra nere.
Suono con lunghe dita
su fragili corde di colla,
piano, in un vicolo buio
perduto in una tasca del
tempo.
Sulle corde si muove una
luce
e sul mio volto una gioia
nera.
Ho solo una tragica
fame di farfalle.
*
Il mio furore è della
tenebra ferita.
Splendo di buio infinito
che ha brani di luna tra i
denti.
Nero è il mio splendore.
Incedo nell’aura della
morte.
Spada è la mia nudità,
snudata a fendere il
cielo.
Io celebro i funerali del
sole.
Serbo nel cuore una parola
incendiaria.
A lei e me do sepoltura
nel silenzio.
Celebra tu, ma non
t’imploro,
l’estremo saluto al mio
tacere.
*
Ho dato
il mio cuore di fuoco
alle dita di demoni
adolescenti.
Essi vi giocano
con sorrisi accesi
e ne fanno trottola
dentro al cerchio loro.
Così libero posso andare
svagato
senza ornamento di fragola
nel petto.
*
Vomito boschi dalle erbe
odorose,
unicorni dalle storie
millenarie.
Con un solo filo dei miei
pensieri
giovani marinai
dimenticano il mondo
intrecciando con dita di scheletro
gasse degli amanti e nodi
dai nomi
che i loro figli mai nati
non smettono ancora di
inventare.
Ciò che si muove nel mio
ventre
è l’intero mondo,
bagnato fradicio, fino al
cuore di fuoco,
dalla pioggia splendente
della vita.
Ma sarò solo una gabbia
d’ossa
se ora tu non verrai ad
amarmi.
Sarò il cimitero dei miei
popoli iridati,
degli arcani baciatori,
dei miei incendiari poeti.
Sarò maestoso nubifragio
di tristezze
se solo tu ora non verrai.
*
Malinconie invecchiano con
me.
E stanche mi aiutano
A disseppellire una luce.
*
Dammi la strada.
Dimmi dov’è
che non è santa la mia
nudità.
Io ci andrò,
col mio nudo di frutto,
con le labbra rosse
per il canto di fuoco.
Dimmi dov’è
che l’amore è un errore.
Io ci andrò,
col mio cuore ferito,
e sbaglierò.
Sbaglierò tutte le volte.
E tutte le mie tristezze
si imbratteranno di
sorriso.
Dimmi dove,
e io ci andrò.
La mano intrecciata allo
scandalo.
Gli occhi puri.
Il sorriso nel cuore,
come un fiore sull’acqua.
Dammi la strada.
*
Ho una lumaca che segna il
mondo con la sua bava di luce.
Ho una foglia che una sola
volta lascerà l’albero per la terra.
Ho un sasso che è stato
scelto per una strada di paese.
Ho una medusa che danza la
sua bruciante trasparenza.
Ma non so, io non so qual
è la mia.
Non so qual è, ma c’è una
mia lumaca qui,
e segna strade di luce in
questo mondo.
Ho una nuvola indaco non
ancora madre di piogge.
Guardo il cielo, io,
e non so qual è la mia.
*
Sotto la pelle ho
scorribande di inquietudini,
migrazioni e fughe di
desideri,
vagabondaggi di tristezze.
Sotto la pelle, senza
pietà,
una solitudine di fuoco
brucia
le mie brulicanti
moltitudini.
Un’algida fiamma
mi lambisce con verità
crudeli.
Un fuoco senza amore
che brucia come l’amore.
La mia pelle è cenere di
poesia,
il mio cuore un carbone
acceso,
un rovente pane nero
per la fame di un demone
arcano.
Sono la bacca di un dolore
che sorride.
La fiaba nera di una donna
di neve.
Custodito da un segreto,
io,
respiro il sale di un
viaggio proibito.
Accarezzo lo spettro
dell’amante,
insieme taciamo tutto il mio canto.
*
Arciere nero che scaglia
frecce iridate,
arciere bello e dannato
che punta dritto allo
sterno di dio,
che pianta la sua freccia
nell’osso
e vi lega il suo vessillo
di rabbia,
che cerca nel cielo un’
incrinatura
per vedervi sanguinare
compassione,
che geme della fuga del
suo dardo
carezzando l’arco con
tenerezza,
che tende il braccio e
stringe con le dita
l’attimo della verità, il
luccichio della vita.
*
Non c’è
tribù che segni a dito la mia tenda
chiedendosi perché non vi
ho ancora fatto ritorno,
né accademia, né chiesa,
che nel mio nome moduli un
suono di discepolo.
Ululo da solo alle mie
lune.
Non cercare nell’incedere
del branco
il baluginio del mio vello
scuro.
*
Il
carillon di silenzi
su cui lento si muove
il mio invisibile
carnevale.
La mia vita invisibile
così satura di visibili
venti.
La voce di pietra
della mia anima di vetro.
La danza di nube,
eterna e bambina,
della invisibile mia
malinconia.
Vorrei che tutto e questo
tu lo vedessi davvero.
E che tu, e tu sentissi
ciò che la vita mi dice in
segreto.
Allora sapremmo
sorriderci.
E l’amore saprebbe
toccarci.
*
Ho
infilato l’anello al dito del maelström
e ne ho sposato lo
splendore nero,
nel cavo delle mani del
samurai bambino
ho adagiato il pettine di
corallo di sua madre
e lontano nel tempo con
una donna di silenzio
ho tessuto i fili di una
preziosa ragnatela.
Ora sull’erba su cui un
dio vomita vento
io dormo il sonno di un
inquieto poeta
e nel sogno di nubi a cui
rubare la pioggia
io piovo sul fuoco della bocca che
amo.
*
Ho pelle di sera adesso,
il cuore cullato dal
crepuscolo,
un sorriso stanco e mite,
come una speranza arresa.
Ma voglio esserci ancora
perché da qualche parte
ancora
qualcosa sorride ancora.
E posso esser vivo e qui,
con un fiammifero contro la notte.
* Davide Cortese è nato nell’isola di Lipari nel
1974, e vive a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli
Studi di Messina con una tesi sulle “Figure meravigliose nelle credenze
popolari eoliane”. Nel 1998 ha pubblicato la sua prima
silloge poetica, titolata ES (Edas, Messina), alla quale sono seguite le sillogi: Babylon Guest House (Libroitaliano, Ragusa, 2004), Storie del bimbo ciliegia (un’autoproduzione del 2008), ANUDA (Aletti Editore, Roma, 2011) e OSSARIO (Arduino Sacco Editore, Roma,
2012).
I
suoi versi sono inclusi nelle antologie 200
giovani poeti europei in nove lingue (Edizioni CIAS, CLUB UNESCO), Poliantea (Edizioni Mazzotta), A cuore aperto (Accadueo)
e in varie riviste cartacee e on line, e nel 2004
sono stati protagonisti del “Poetry Arcade” di Post Alley, a Seattle. Davide Cortese è anche autore di una
raccolta di racconti: Ikebana degli
attimi ( L’Autore Libri, Firenze, 2005) e di un cortometraggio: Mahara (2004),
che è stato premiato dal Maestro Ettore Scola alla prima edizione di EOLIE IN
VIDEO.