CHECKPOINT POETRY
IVAN POZZONI
 

 

 

 

I BIMBI DELLE VOSTRE ANIME

 

Gli occhi

da bimbo

sono azzurri

o verdi

nelle strade deserte

della mia anima,

e un sorriso

da bimbo

imbocca,

contromano,

sensi vietati.

Non anestetizzate

i bimbi

delle vostre anime;

essi erediteranno

i vostri dolori,

e, piangendo,

ne trarranno

emozioni.

 

 

 

L’ALBERO DI NATALE

 

Prendi la mia mano

bambino africano

bambino indiano

bambino slavo

sollevati dalla tua culla

di rame e filo spinato,

smetti di dormire

bambino africano

bambino indiano

bambino slavo

coperto da stracci

dei cassonetti Caritas.

Padre lavavetri, e madre battona,

bambino africano

bambino indiano

bambino slavo

forse gli uffici postali ti recapiteranno,

entro Gennaio, doni degni di un re (esiliato);

non morire

bambino africano

bambino indiano

bambino slavo

nell’attesa del sorriso dei vincenti,

i nostri occhi si accendono ad intermittenza,

e i nostri cuori sono spenti.

Gli alberi di Natale

non mettono radici

nelle strade cementate

delle nostre città

racchiuse nei ghiacci

di emozioni congelate.

 

 

 

VERSI INTROVERSI

 

Pure io,  senza volere, forse,

forse senza coscienza,

nella mia sfinente elemosina d’esser uomo

mi son vantato, triste anatomopatologo,

d’avere constatato i decessi esausti

delle nostre divinità infere, e celesti;

ma adesso, laidi consacrati, 

ci restano, angoscia, vuoto, silenzi,

 aziende, e irrealizzabili sogni di maternità.

 

L’onnipotente è morto,

denigrato, bestemmiato, assassinato;

ora,  a chi imporre

i nostri  vincoli  d’insulsa impotenza,

se non a me, se non a voi stessi,

denigrandoci, bestemmiandoci, assassinandoci,

nell’ergastolo distonico di un’esistenza

schiava dell’introversione,

con l’unica amnistia,

solo mia,

a canoni inversi,

cullata in antri d’alchimia

da versi introversi.

 

 

 

CANI RANDAGI

 

Potenti,  ricchi, belli,

non donate calci ai cani

che cerchino dèi o carezze

nei meandri dei canili urbani.

 

Per terra, insofferente, 

abbandonato alla catena

d’una vita solitaria

in odore di saggezza o di cancrena,

dormendo sulla noia dei vincenti,

non mi arrendo

e refrattario alle carezze

mostro i denti!

 

Io,

non soffro museruole

da passioni a lungo corso

mentre voi, cavalli domi

siete sazi d’ogni morso.

No, non scaglio

la mia rabbia declassata a idrofobia,

nelle vostre cucce d'oro foderate d’amnistia.

 

Potenti, ricchi, belli,

nell’offrire calci ai cani

che cerchino dèi e carezze

nei meandri dei canili  urbani,

sentite i vostri animi a disagio,

nel dubbio d’incontrare me,

cane randagio.

 

 

 

L’ATTESTATO

 

Poeti, cantautori, uomini d’arte,

son desolato

di non riuscire a vedermi

consacrato

nei righi candidi, tratto arabesco,

d’un attestato.

 

Non ho salvacondotti metrici

racchiusi in un cassetto,

della mia razza, Dio santo,

son stato unico

‒ l’ammetto! ‒

ad aver cercato

di scarabocchiare

i miei schiamazzi 

in reti da bracconiere,

nel desiderio matto 

d’evitar foglie d’alloro,

e carote nel sedere.

 

Poeti, scrittori, imbianchini stanchi,

artisti da baccellierati

non siete stufi

di vendere, al metro,

i vostri gioielli grafici

i vostri starnuti poetici

come carta d’apparati?

 

Dal mio dolore, dalle mie sconfitte,

non scorgo orizzonti mistici di vendetta:

il calore infernale della fama non m’abbronza,

in cerca, al massimo, di rime baciate

con seriche terzine della Fiamma Monza. 

 

Poeti, cantautori,

cattivi samaritani, autori di corte,

son desolato di non riuscire a affezionarmi

ad attestati, della mia morte.

 

 

 

MOSTRI

 

Quando i mostri, zitti zitti,

s’avvicinano, rubandomi i comandi,

stralciando i miei sorrisi

c’è vuoto, oblio di mille mondi,

sulla mia schiena, nella mia mente,

da non riuscire ad alzarmi,

nell’ansia di difendermi da ogni delusione,

 da non riuscire a alzare scudi di cartone.

 

Quando i mostri, zitti zitti, s’avvicinano,

attentando a desideri, ammazzando nuvole,

c’è dolore intenso,

senza sensi, senza senso

dove ci sono cuore e stomaco,

nell’apatia d’un insidioso blocco neurale,

nella certezza di non adottare bimbi,

che non ci saranno altri mici,

credendo di annegare mille lacrime,

senza riuscire a piangere, senza riuscire a navigare.

 

Quando i mostri, zitti zitti,  s’avvicinano,

arrestando i venti, molestando salici,

vicino a me non c’è nessuno,

cercando di mandar dentro aria,

e fuori sogni d’una testa vuota,

di scuotermi con violenza,

sguardo fisso alle pareti,

male ai muscoli del collo,

boccheggio devastato,

come i resti della cena

nel buio d’uno scarico intasato.

 

Quando i mostri

se ne vanno, io resto,

mostro d’intensità minore

senza manie d’arresto,

narciso caduto

in una brocca di fango

in corsa su binari umidi

nelle urla d’un dittongo,

a terrorizzare i tuoi mostri,

tragici schiavi  di moralità cablate,

mettendo aceto, e sale,

 nell’olio delle tue insalate.

 

 

 

BUSINESS PLAN

 

Nella mia vita, nella vita vostra,

 moltissimi costi, rari benefici.

 

Molti: rifiuti di chi non ama,

esclusioni da escursione termica,

attribuzione ad altri di meriti tuoi,

tumori, disfatte, sensazioni d’asfissia,

e mal di denti.

 

Pochi: adesioni incondizionate, 

sentimenti vibranti, mici da

coccolare, amore.

 

 Potrei dirvi, in altri termini, che vivere vi costa molto,

sotto assedio, abbracciati e vinti, costretti a nascere,

curiosi di cosa vi riserverà un futuro buttato nella lotta,

aiutando chi intristisce, scudieri

di sensibilità e cervello,

condivisioni sfortunate.

 

Potrei dirvi un mare di cazzate,

sulle vostre vite da lumache corazzate!

 

Vorrei esser scudo di chi si sente male,

lancia nel costato

 di chi si non s’è voltato

a vedere un Cristo nudo,

massacrato di botte,

senza dover essere

un nuovo Don Chisciotte;

vorrei esser Sancho,

rifiutato, e sconcio,

deluso, brutto

‒ dannazione! ‒,

con nel ventre

rabbia e umiliazione,

dallo scudo rotto,

senza una bilancia

per poter mettere

 costi a destra, e

 benefici nella pancia.

 

 

 

MALOCCHIO

 

Guardando travi, travi di rovere,

mentre tutti ballano,

mentre tutti ridono,

mentre tutti scrivono,

immerso in un dolore che non dimentica

i nostri trascorsi da belve umane,

nascondo i miei salici in camere oscure,

nell’attesa di cuccioli che mi mordano i sandali,

nell’attesa oziosa di te,

inventata dalle carte di una chiromante ubriaca,

nell’attesa oziosa di me,

invenzione subdola d’un mondo sudicio,

artista scialacquatore, artista sciacquone.

 

Guardando travi,

nelle tempeste della vita,

messo in ginocchio,

senza trovare pagliuzze d’oro

dentro le notti buie

di Malocchio.

 

 

 

SHALOM ALEIKHEM

 

Ai margini della decenza, forse,

del ricovero in una clinica di malattie mentali,

discuto con te, desiderando ridiscutermi,

bloccato da una crisi nera come i chemio-cobalti

d’un vecchio su una  sedia a rotelle,

senza sconti, senza storni

cui mirare, tremolando.

 

Nella certezza di non essere eterni,

di non avere mille anni,

nemmeno cento, cazzo,

davanti, o dietro,

nelle certezza che, in un momento,

i cieli smettano di tuonare,

i mari di battere i marciapiedi

delle città costiere,

per noi, per noi,

senza un avviso, senza un’intuizione di senso,

non invidio i tuoi soldi, vita brillante, occasioni,

macchine, successi;

ora, ti invidio lei,

desiderio assassinato sulla strada di Damasco,

meretrice sublimata in una vita di studio e di ricerca,

senza rimedio, senza attimi estorti d’esitazione.

 

Ritornando alle macerie dei miei disastri, ribonucleari,

di vita dura, di vita vera, combattendo,

casa su casa, via su via,

in difesa di chi soffre,

shalom aleikhem.

 

 

 

FUORI DAL TRAMONTO

 

Prima del cadere d’un sole freddo

tra le cento braccia d’Ade addormentato,

ci siam trovati, tutti, avvinti nel silenzio

di un venerdì sera d’atmosfera natalizia,

davanti ad un cielo mestruato, sterile,

forse, rosso dalla  rabbia di non esser madre

di dèi, di vittorie, o di mattine senza dolore,

davanti a un cielo tanto livido

da annichilire tutti i nostri sogni d’inventario.

 

E il dubbio di essere contagiati,

per un momento, fugace, per un attimo solo,

dalla serenità di esistere nei magazzini

d’un’area industriale, ci attanaglia, 

dimentichi di doverci vivere

anche fuor di metafora,

fuori dal tramonto.

 

 

 

 

*  Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976; si è laureato in diritto con una tesi sul filosofo ferrarese Mario Calderoni. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico; collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2010 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri e Galata morente con Liminamentis, Lame da rasoi, con Joker; tra 2009, 2010 e 2011 ha curato le antologie poetiche Retroguardie (Liminamentis), Demokratika, (Liminamentis), Tutti tranne te! (Liminamentis), Frammenti ossei (Liminamentis); nel 2010 ha curato la raccolta interattiva Triumvirati (Liminamentis). Tra 2008 e 2010 ha curato i volumi: Grecità marginale e nascita della cultura occidentale (Liminamentis), Cent’anni di Giovanni Vailati (Liminamentis), I Milesii (Liminamentis), Voci dall’Ottocento (Liminamentis), Benedetto Croce (Liminamentis), Voci dal Novecento I (Liminamentis) e Voci dal Novecento II (Liminamentis); nel 2009 sono usciti i suoi: Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni (IF Press) e L’ontologia civica di Eraclito d’Efeso (Liminamentis). È direttore culturale della Liminamentis Editore; è direttore de L’arrivista – Quaderni democratici. In un’azienda della D. O. è logistico.

 

 

 




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