CHECKPOINT POETRY
ROSALBA DE FILIPPIS
 


La volpe

 

 

 

Scommessa del mattino

abbiamo cominciato presto

la finestra è la cornice

del mio albero di fianco

che porta il profumo.

Scommetto su questo mattino

e non mi fermerò per fare pace

non per tollerare il mio silenzio

per continuare ancora e ancora

il mio diluvio di strade  mai finite.

Eppure

sul profilo della casa

mille volte incominciata

porto un sospetto,

volpe porporina

che ho confuso

con il verso di un cerbiatto.

Vieni, ti prego,

nascosta

a derubarmi

affonda la tua bocca

sul mio corpo di ragazza

trascinami amorosa

fino al  pozzo

nascondimi nel tuo rifugio

in alto

tra le ginestre pronte a dare il segno

l’intensità di assenzio dell’estate

sono pagine rubate

queste essenze

solo per dire

che il mattino ha fatto meglio

ancora mi piego sicura

su quei ciottoli

e in aria si addensano odori di carta.

 

Volpe

pensavo alla tua fame 

come chi dispensa un amore di nulla

nella cesta di un gattino

voracità

che non si addice

alla tua coda così lunga 

di tutti i profili scolpiti nell’aia.

Oggi ho capito

tu mi volevi forte 

sapevi

e nel giro di un’età

che ruba tutto

mi avresti ritrovata ancora qui

come una serpe alta

senza l’innamorato

a cui dare le promesse.

Io mi sono fatta un male di abbracci 

un male di solitudini imposte

di figli ancora scuri

e ancora soli.

Stamani scommetto di fuggire

troppo l’odore

che ti ha frastornata .

 

      *

 

Possibile

che una quercia sappia tutto

e nessuno prenda il mio polso?

Suvvia

non è molto

sono dimagrita

sono piccola

e nel punto in cui collassa  il cuore

mi consegno

ho già il destino

l’ho letto più volte di nuovo

mi sono capìta

di poco per nulla ho trovato

in mezzo alle erbacce

al mio fuoco

il solito filo di fumo

e fiori a cui mi lego.

 

Volpe,

prima che si spezzi per sempre l’incanto

e l’illusione scada sulla sedia

come un abito troppo consumato 

tagliuzzami tra i denti

fatti fiera

su questo fondale di strami e di gatti

proprio qui

io mi mostro

di faccia a  tutte le cose

forse perché non ho avuto il tempo

di dare il fresco

alla verbena

e il mio orto è vuoto

non cresce niente

un eden non diventa

e non c’è acqua per vivere.

 

Volpe, mi spiavi

credevo che aspettassi la mia oca

dal collo leggiadro

accovacciata dietro l’angolo di casa

e ci siamo studiate per anni.

Cosa sono gli anni

se non ginestre

che tornano sempre più dure?

Nel giallo così aspro

in cui ormai si nega anche il viottolo

hanno preso tutto

nessuno cammina verso l’alto

per vedere sopra il campo

di panorami assoluti.

 

Non c’è posto per nulla

forse nessuno

se non tu

pancia per terra

nel soffice del tuo mantello

può ritrovare qualcosa degli anni

alla pietra di destra

alla pianta su cui tempo fa

ho lasciato un’altra volta

la mia impronta.

No, volpe,

qui non  ricomincio

fino a quando

non si faccia silenzio

non si sollevi la sedia caduta

il passato ha il nome di padre

essenziale ed uguale.

 

*

 

Portami sulla piaggia con i nomi

quella dove il corbezzolo ha paura

e poi ti accorgi

che se le sono prese tutte

le sorelle

hanno imbandito tavole su logge

con i posti segnati per ciascuno

ospiti attesi a una festa chiara

le sorelle in aria

le denunciano su tutti i rotocalchi

fatte sole e abbandonate

forse perché non sei riuscita 

a trascinarle con dolcezza

dove, salve,

potrebbero dire adesso qualche cosa.

 

E a che serve intrappolarmi

per il piede ?

Gli occhi sono veri

soprattutto il sorriso

e riordino gli armadi

metto a posto la presenza

non si sa come e cosa

eppure eppure

giovane per niente.

 

Ho chiamato  a raccolta i petti più gialli

sono qui a farmi attorno un’altra festa

non quella che si annuncia

con i riti di famiglie

ormai  più dure di ginestre  in fioritura.

Dicevo i gialli con le piume.

Venite, venite

ho detto loro

quando proprio il mio giorno

non decide

ho voglia di una gita più facile

uno stormo di fringuelli

dopo la strage di insetti sopra il tronco

e poi  stanchi di aspettarmi

hanno fatto giravolte intorno ai rami

e la finestra ha visto il suo deserto.

 

Io da qui non riesco a stare ferma

non immagino neanche

gli altri panorami

un gioco di illusioni

specie al tramonto

un lucido profilo fino al mare

che non vedo ma si sente

un profilo di promesse

se qualcuno avesse sollevato

quella sedia

se qualcuno avesse messo nel gesto

un amore indiviso

solo sassolini di premure

ispidi nelle suole

umidità che ostinano

e tutto resti uguale.

Le noci  cadono per terra

hanno gusci già ammuffiti

prego perché un giorno questo cielo

faccia un giro.

Portatemi in un luogo

con le prospettive vere

linee di fuga  fino al centro

di musiche di vecchi innamorati

tutti lasciati

e poi solo montagne

io morirei per loro

come un soldato con la passione

un partigiano

con le spalle buone

io striscerei per terra tra le foglie 

e punterei il fucile

per ridere di forza

di giovinezze.

 

            *

 

È  stato un andare

uno strappare viscere per nulla

e caricare i lari

sopra i sedili degli altri

per morire lontano lontano

serve

inacidire l’acino più giovane?

 

E ora

col mantello e il muso così magro

quasi non credo

ai tuoi occhi più rossi

ora hai annusato l’aria

e ti nascondi per diffidare

 i giusti consigli dei pochi

quelli che seccano i fiori

e  ti vogliono breve

come un calzino al sole

vogliono che tu cada lontano

ancora più lontano del luogo

dove è dato di morire

ti vogliono viva per finta

tenuta per forza sulle zampe

a far piacere a chi pensa di amarti

hanno i calzini corti i tuoi assassini

vengono nel bosco con fiducia

sono pronte già le garze con le essenze

per sfilarti le viscere

e mettere sassi sterili

basta a garantire

il tuo corpo per sempre.

L’anima no

è un fiore di cardo

non fa molta impressione

dalla a tuo figlio

per quel sorriso

comunque e a dispetto.

Il resto è un infettarsi di auguri

di prepotenze con la cifra sopra

il prezzo del mio albero

quello accanto al quale

sono tornate tutte le parole sotto vento:

me lo strapperanno per onore

di proprietà che devono restare.

Ho solo due uccellini

li porterò con me così lontano

da non sentire il loro spaventoso cuore.

 

Volpe, ti offro un braccio

trascinalo in quel luogo

dove un pastore

ha scavato tante buche

una per ogni bestia mansueta

con il nome inciso

fai del mio braccio

un innesto

e germogli copioso nel prato

o forse non è vero

io non ricordo.

Stupiscono i ricordi dei bambini

fanno tornare i giganti a fiorire.

 

Ecco,

ti offro adesso

la mia lingua

ha il tepore di un gatto

rimasto in pieno sole

non sono le parole

che si fanno dire

basta dormire

sui terrazzi con le arcate

e quelle si riprendono più calde

sono le cialde

che l’amica mi ha portato

quando il cielo è così finto

quando il mio fondale dipinto

si piega per terra

la mia lingua di dattero sa

dove andranno le tristezze

le mie sorelle fresche

trafugate.

 

È questo luogo

maschile

con i muschi prepotenti

anche i rami assomigliano

a nervi

coniugano solo fattezze e pensieri

sono furbi

negano le scorciatoie

che avrei da attraversare.

Se almeno una madre

almeno una madre

vestita con le mani deliziose

facesse un passo con il mio nome.

E allora io ti affido

mia fiera pellerossa

il ventre bucato

da piccole punture 

e l’indecenza di pericoli

io non ho trascorso

loro sì

con i nomi

sopra il punto più alto di una collina

loro

sono tutte molto belle .

Sorelle

vi hanno denudato

un corpo di mercato

pecorelle

ora c’è la lista 

di malinconie morbose

per famiglie

sui vetri dei bicchieri

dentro quei televisori

e le tovaglie.

Siete voi le pietanze

le maniche nascoste

perché i coltelli tagliano le rose.

 

Volpe leggiadrissima di prima

cogli un avanzo

mandanti le famiglie

di notizie

al riparo

di candide tendine.

Cogli un avanzo

e fanne un tralcio vero

non importa se con gambi di pregio

ma di radici come lame

che affondano

se poi non si  dichiara un fiore

saranno le foglie 

oppure soltanto il colore più verde

di novembre.

 

            *

 

Oggi ho un  peso

un involto di tutte le paure

i poliziotti in cerca degli indizi

raccolgono ben altro.

La mia paura sta così

quasi spavalda

tra le braccia  più lunghe di una via

distacchi con le venature 

le ciurme degli amori 

le muffe delle case sconosciute

traslochi frettolosi e stanze chiuse.

Questa la volta della mia collina

l’altra era fuga:

candelabri preziosi

dentro panni di fortuna

lari confusi in mezzo alla mobilia

e i cani  tenuti tra i bagagli

con me, la trafugata e solo figlia

con tutte le radici sfilacciate

come un giovane aglio scalzato

da terra per sbaglio

la fuga.

Ora  non venitemi a dire

trascino i miei bulbi

ho provato a mischiarli per terra

qui dove la quercia si tradisce

ho scavato anch’io per farne

una certezza

ho provato di forza a piantare nei vasi

i miei giorni.

 

Volpe di settembre

qui non si cresce

rimangono ferite sopra i piedi

provate

io rosa

a interrarmi di forza

o almeno il piede estremo

e fiorirò nell’ultimo momento

a riprendermi  la chiave

o solo il libro della scuola

dimenticato forse sopra il frigo.

Così io mi assottiglio

e scenderò precisa dentro il cavo

inciso sul terreno

la mia paura.

E voi, sorelle

con le mani a ritrovare

tutti i coraggi

e spigoli e terrori

per chi vi ha messo a tavola

ci sono le signore:

sfogliano riviste sulle sedie

le foto con le prede

e con le scritte

umettano le dita

cotonano i capelli

con un bigodino sul cuore

le solite comari del dolore.

 

                        *

 

E rimanere sola a sradicarmi

di un  proposito a dirsi

tu volpe laboriosa

gratta leggera il terriccio

e scopri le mie viscere

che avvolgo intorno al piede

e non si può  – comprendi?

Neanche in un altro luogo

quello delle nascite

i tesori nascosti tra i cespugli

abitati da uccelli diurni

e gli odori lontani

inutile percorrere a ritroso

come andare con la schiena

i passi indietro imbrogliano

i ritorni

i bulbi ormai già fuori

a quei giardini

ai visi 

i cieli di ieri

con le pagine nascoste.

 

Belle sorelle con i capelli sciolti

e con le pose

le organze alle ginocchia delle spose

vi ho visto custodire altri segreti

rincorrere le volpi

spogliatemi nel maggio

e nelle cure

porgetemi le guance di paure.

Sorelle con le inerzie

le mie tantissime confuse

in mezzo ai libri di un figlio

col dito puntato sul cielo

per lui che piega nel sonno

 io voglio! –

gli anni dovrebbero correre

e soprattutto lontano da qui

dove le scene si ripetono sempre

io madre

con le maglie da asciugare

la finestra è la stessa

troppo silenzio

ma io mi dico

‒ voglio! ‒

preparo i miei bagagli del riscatto

questo atto di teatro

le valigie con lo spago

via! Via! Via!

Me lo dico

da centesimi di tempo

me lo dico nell’inverno

e l’umido si taglia sul viottolo di casa.

I miei gatti come lari a farle veglia

sono diventati grigi

questi gli anni, perché d’inverno è facile:

tu prendi la strada di fango

e scendi  dove i sollievi

sono gli autobus che voltano ogni tanto

scendi

ripeto, e ti senti salvata.

Portatemi in mezzo a quelle luci

nel traffico di verità

fanno nelle grinze

le mie conferme al meglio.

Di novembre si può

io non corro molto bene.

 

Poi  il tramonto  a sorpresa

si consuma la fine di ogni resistenza

sei vinta e per sempre

troppo colore

troppo il dolore di trascinare

fuori le radici.

Come dici?

Non sono pianta?

Sono una donna con i piedi 

è una pazzia.

Il dorato alla porta

la quercia ha rimesso le foglie

la casa è luminosa esattamente

tra le canne e la rosa.

Mi fa male anche il dorso del piede

non sono buona a correre

non sono buona a sgusciare

come un frutto

ho tenuto dentro il caldo

il suo rovescio.

Piango per niente

e mi impietrisco

punto il dito lontano e vicino

‒ io non posso! ‒

 

 

Ora dico

se potessimo insieme

sorelle

pecorelle amiche 

e bambine del prima

soprattutto del mai

qui non si combina.

Voi state tese

vi hanno imprigionate

e fatte carne

in mezzo alla folla

celebra le offese

insinua lenzuola

le pietà uccidono due volte.

La gente attende il pomeriggio

per vedere quante volte

può morire la sorella

sullo schermo che consola

le consuetudini ti rubano

la voglia

e sono rituali dei dottori

dei conduttori con le calze buone

mentre tu muori

le indolenze sorde

televisioni assurde.

Cosa è vero?

 

Ora voi siete

ognuna alle prese con la tragedia

gli assassini si nascondono

e per bene fanno insieme un inganno

ora dicevo

ho donato alla mia volpe

anche il mio fianco:

l’appendice l’ho lasciata sopra il ramo

ora potrei

se  facciamo piano

ci alziamo

questi legami

che fanno la vergogna

delle amazzoni

bussano nel ventre

sopra il solo seno

con le braccia forti

scoccano vendette.

 

            *

 

E io qui

come albero di niente

sono una donna

non un lauro dolce

vado a ritroso:

stringo la radice nel calcagno

riprendo le mie dita  nella mano

sorelle con le bende per il lutto

tutte bianche sopra la mia strada

portate le testimonianze

il supplemento di un editoriale

dentro il vangelo del mio quotidiano.

Ora

è il momento di colpire il segno

il centro di un bersaglio

sopra le valigie

ho messo la mia freccia

una per altre

una per tutte

stiperò le vene nella scarpa

sarò più forte della brezza che si alza.

Scommessa del mattino

sul mio fondale queste mie paure

se almeno una madre

cogliesse il fiore secco per forza

papaveri di troppo

e i capperi dell’orto

sono sirene e cantano:

resta per me

mi cantano

per il profumo

figlia

resta per il profilo colmo

per tutte le tue pallide parole

le gatte sono prove sulla soglia

sul tappetino sono la paura

rifugiano il pensiero e questa foglia

diventa la certezza del restare.

Non so dove andare giovani sorelle.

 

E dai rami

io sono diventata

la Dafne che capisce e torna indietro

mi sono fatta con le spalle lisce

le grinze le ho lasciate

dentro il tronco

il seno me lo dice

senza gli unguenti

mi sono ritrovata

le formule di strega

ho detto invece

in vostra ‒ vece ‒

la trasformazione.

Ho un cuore adesso

non più il muscolo

duro di un nodo.

Semmai ho una fronte

e la bocca più grande

per imparare il sorriso

i miei denti hanno ucciso

ora ho sangue di femmina figlia

ho una scintilla di sesso nel ventre

sono piena di tempo

e novembre ripete ancora

se ho voglia.

Ragazze

mettete il fermaglio

pettinate i capelli

e le chiavi sono tutte più vere.

 

Ma io mi fermerò sull’ultimo scalino

mi fermerò a pensare a cosa resta

e forse già pronta per partire

ritornerò per prendere la borsa

oppure il mio rossetto

i guanti della sposa

dimenticati intonsi.

Solo un momento e poi

il terrore già visto

quest’ultima stagione

il fusto mi preme

le foglie e l’accenno del nido

all’ultimo gradino

sarò la ragazzina

e poi  sarò la pianta

del mio prima.

Proteggimi

non reggo la mia forza

chissà se per fiorire

o per distendere

i frutti e la linfa

la quercia qui vicina

e i passi dei fringuelli

mi sfiorano le vene

adesso comprendo

perché non si trovano foglie

mi crolleranno addosso

offro le ghiande

parole fragranti.

 

Scommessa del mattino

tu volpe

vai pure

a cacciare

l’ultimo topo

del bosco

il rimorso del bianco

apri fondali

e consideri corpi e rifugi

ci tieni a dare alle paure

almeno i nomi

con lo scrupolo di chi va sempre in alto

per questo ti allontani

e sei già altro.

 

 

 

 

*  Rosalba de Filippis, nata a Macchiagodena in Molise, laureata in Lettere moderne con una tesi sull’opera del primo Giorgio Caproni, è autrice dei libri di versi Sotto nevi di carta (2007), Il filo forte del liuto (2008), La luce sugli spigoli (2011).

 




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