La volpe
Scommessa del mattino
abbiamo cominciato presto
la finestra è la cornice
del mio albero di fianco
che porta il profumo.
Scommetto su questo mattino
e non mi fermerò per fare pace
non per tollerare il mio silenzio
per continuare ancora e ancora
il mio diluvio di strade mai finite.
Eppure
sul profilo della casa
mille volte incominciata
porto un sospetto,
volpe porporina
che ho confuso
con il verso di un cerbiatto.
Vieni, ti prego,
nascosta
a derubarmi
affonda la tua bocca
sul mio corpo di ragazza
trascinami amorosa
fino al pozzo
nascondimi nel tuo rifugio
in alto
tra le ginestre pronte a dare il
segno
l’intensità di assenzio dell’estate
sono pagine rubate
queste essenze
solo per dire
che il mattino ha fatto meglio
ancora mi piego sicura
su quei ciottoli
e in aria si addensano odori di
carta.
Volpe
pensavo alla tua fame
come chi dispensa un amore di nulla
nella cesta di un gattino
voracità
che non si addice
alla tua coda così lunga
di tutti i profili scolpiti
nell’aia.
Oggi ho capito
tu mi volevi forte
sapevi
e nel giro di un’età
che ruba tutto
mi avresti ritrovata ancora qui
come una serpe alta
senza l’innamorato
a cui dare le promesse.
Io mi sono fatta un male di
abbracci
un male di solitudini imposte
di figli ancora scuri
e ancora soli.
Stamani scommetto di fuggire
troppo l’odore
che ti ha frastornata .
*
Possibile
che una quercia sappia tutto
e nessuno prenda il mio polso?
Suvvia
non è molto
sono dimagrita
sono piccola
e nel punto in cui collassa il cuore
mi consegno
ho già il destino
l’ho letto più volte di nuovo
mi sono capìta
di poco per nulla ho trovato
in mezzo alle erbacce
al mio fuoco
il solito filo di fumo
e fiori a cui mi lego.
Volpe,
prima che si spezzi per sempre l’incanto
e l’illusione scada sulla sedia
come un abito troppo consumato
tagliuzzami tra i denti
fatti fiera
su questo fondale di strami e di
gatti
proprio qui
io mi mostro
di faccia a tutte le cose
forse perché non ho avuto il tempo
di dare il fresco
alla verbena
e il mio orto è vuoto
non cresce niente
un eden non diventa
e non c’è acqua per vivere.
Volpe, mi spiavi
credevo che aspettassi la mia oca
dal collo leggiadro
accovacciata dietro l’angolo di
casa
e ci siamo studiate per anni.
Cosa sono gli anni
se non ginestre
che tornano sempre più dure?
Nel giallo così aspro
in cui ormai si nega anche il
viottolo
hanno preso tutto
nessuno cammina verso l’alto
per vedere sopra il campo
di panorami assoluti.
Non c’è posto per nulla
forse nessuno
se non tu
pancia per terra
nel soffice del tuo mantello
può ritrovare qualcosa degli anni
alla pietra di destra
alla pianta su cui tempo fa
ho lasciato un’altra volta
la mia impronta.
No, volpe,
qui non ricomincio
fino a quando
non si faccia silenzio
non si sollevi la sedia caduta
il passato ha il nome di padre
essenziale ed uguale.
*
Portami sulla piaggia con i nomi
quella dove il corbezzolo ha paura
e poi ti accorgi
che se le sono prese tutte
le sorelle
hanno imbandito tavole su logge
con i posti segnati per ciascuno
ospiti attesi a una festa chiara
le sorelle in aria
le denunciano su tutti i rotocalchi
fatte sole e abbandonate
forse perché non sei riuscita
a trascinarle con dolcezza
dove, salve,
potrebbero dire adesso qualche
cosa.
E a che serve intrappolarmi
per il piede ?
Gli occhi sono veri
soprattutto il sorriso
e riordino gli armadi
metto a posto la presenza
non si sa come e cosa
eppure eppure
giovane per niente.
Ho chiamato a raccolta i petti più gialli
sono qui a farmi attorno un’altra
festa
non quella che si annuncia
con i riti di famiglie
ormai più dure di ginestre in fioritura.
Dicevo i gialli con le piume.
Venite, venite
ho detto loro
quando proprio il mio giorno
non decide
ho voglia di una gita più facile
uno stormo di fringuelli
dopo la strage di insetti sopra il
tronco
e poi stanchi di aspettarmi
hanno fatto giravolte intorno ai
rami
e la finestra ha visto il suo
deserto.
Io da qui non riesco a stare ferma
non immagino neanche
gli altri panorami
un gioco di illusioni
specie al tramonto
un lucido profilo fino al mare
che non vedo ma si sente
un profilo di promesse
se qualcuno avesse sollevato
quella sedia
se qualcuno avesse messo nel gesto
un amore indiviso
solo sassolini di premure
ispidi nelle suole
umidità che ostinano
e tutto resti uguale.
Le noci cadono per terra
hanno gusci già ammuffiti
prego perché un giorno questo cielo
faccia un giro.
Portatemi in un luogo
con le prospettive vere
linee di fuga fino al centro
di musiche di vecchi innamorati
tutti lasciati
e poi solo montagne
io morirei per loro
come un soldato con la passione
un partigiano
con le spalle buone
io striscerei per terra tra le
foglie
e punterei il fucile
per ridere di forza
di giovinezze.
*
È
stato un andare
uno strappare viscere per nulla
e caricare i lari
sopra i sedili degli altri
per morire lontano lontano
serve
inacidire l’acino più giovane?
E ora
col mantello e il muso così magro
quasi non credo
ai tuoi occhi più rossi
ora hai annusato l’aria
e ti nascondi per diffidare
i giusti consigli dei pochi
quelli che seccano i fiori
e
ti vogliono breve
come un calzino al sole
vogliono che tu cada lontano
ancora più lontano del luogo
dove è dato di morire
ti vogliono viva per finta
tenuta per forza sulle zampe
a far piacere a chi pensa di amarti
hanno i calzini corti i tuoi
assassini
vengono nel bosco con fiducia
sono pronte già le garze con le
essenze
per sfilarti le viscere
e mettere sassi sterili
basta a garantire
il tuo corpo per sempre.
L’anima no
è un fiore di cardo
non fa molta impressione
dalla a tuo figlio
per quel sorriso
comunque e a dispetto.
Il resto è un infettarsi di auguri
di prepotenze con la cifra sopra
il prezzo del mio albero
quello accanto al quale
sono tornate tutte le parole sotto
vento:
me lo strapperanno per onore
di proprietà che devono restare.
Ho solo due uccellini
li porterò con me così lontano
da non sentire il loro spaventoso
cuore.
Volpe, ti offro un braccio
trascinalo in quel luogo
dove un pastore
ha scavato tante buche
una per ogni bestia mansueta
con il nome inciso
fai del mio braccio
un innesto
e germogli copioso nel prato
o forse non è vero
io non ricordo.
Stupiscono i ricordi dei bambini
fanno tornare i giganti a fiorire.
Ecco,
ti offro adesso
la mia lingua
ha il tepore di un gatto
rimasto in pieno sole
non sono le parole
che si fanno dire
basta dormire
sui terrazzi con le arcate
e quelle si riprendono più calde
sono le cialde
che l’amica mi ha portato
quando il cielo è così finto
quando il mio fondale dipinto
si piega per terra
la mia lingua di dattero sa
dove andranno le tristezze
le mie sorelle fresche
trafugate.
È questo luogo
maschile
con i muschi prepotenti
anche i rami assomigliano
a nervi
coniugano solo fattezze e pensieri
sono furbi
negano le scorciatoie
che avrei da attraversare.
Se almeno una madre
almeno una madre
vestita con le mani deliziose
facesse un passo con il mio nome.
E allora io ti affido
mia fiera pellerossa
il ventre bucato
da piccole punture
e l’indecenza di pericoli
io non ho trascorso
loro sì
con i nomi
sopra il punto più alto di una
collina
loro
sono tutte molto belle .
Sorelle
vi hanno denudato
un corpo di mercato
pecorelle
ora c’è la lista
di malinconie morbose
per famiglie
sui vetri dei bicchieri
dentro quei televisori
e le tovaglie.
Siete voi le pietanze
le maniche nascoste
perché i coltelli tagliano le rose.
Volpe leggiadrissima di prima
cogli un avanzo
mandanti le famiglie
di notizie
al riparo
di candide tendine.
Cogli un avanzo
e fanne un tralcio vero
non importa se con gambi di pregio
ma di radici come lame
che affondano
se poi non si dichiara un fiore
saranno le foglie
oppure soltanto il colore più verde
di novembre.
*
Oggi ho un peso
un involto di tutte le paure
i poliziotti in cerca degli indizi
raccolgono ben altro.
La mia paura sta così
quasi spavalda
tra le braccia più lunghe di una via
distacchi con le venature
le ciurme degli amori
le muffe delle case sconosciute
traslochi frettolosi e stanze
chiuse.
Questa la volta della mia collina
l’altra era fuga:
candelabri preziosi
dentro panni di fortuna
lari confusi in mezzo alla mobilia
e i cani tenuti tra i bagagli
con me, la trafugata e solo figlia
con tutte le radici sfilacciate
come un giovane aglio scalzato
da terra per sbaglio
la fuga.
Ora
non venitemi a dire
trascino i miei bulbi
ho provato a mischiarli per terra
qui dove la quercia si tradisce
ho scavato anch’io per farne
una certezza
ho provato di forza a piantare nei
vasi
i miei giorni.
Volpe di settembre
qui non si cresce
rimangono ferite sopra i piedi
provate
io rosa
a interrarmi di forza
o almeno il piede estremo
e fiorirò nell’ultimo momento
a riprendermi la chiave
o solo il libro della scuola
dimenticato forse sopra il frigo.
Così io mi assottiglio
e scenderò precisa dentro il cavo
inciso sul terreno
la mia paura.
E voi, sorelle
con le mani a ritrovare
tutti i coraggi
e spigoli e terrori
per chi vi ha messo a tavola
ci sono le signore:
sfogliano riviste sulle sedie
le foto con le prede
e con le scritte
umettano le dita
cotonano i capelli
con un bigodino sul cuore
le solite comari del dolore.
*
E rimanere sola a sradicarmi
di un proposito a dirsi
tu volpe laboriosa
gratta leggera il terriccio
e scopri le mie viscere
che avvolgo intorno al piede
e non si può – comprendi?
Neanche in un altro luogo
quello delle nascite
i tesori nascosti tra i cespugli
abitati da uccelli diurni
e gli odori lontani
inutile percorrere a ritroso
come andare con la schiena
i passi indietro imbrogliano
i ritorni
i bulbi ormai già fuori
a quei giardini
ai visi
i cieli di ieri
con le pagine nascoste.
Belle sorelle con i capelli sciolti
e con le pose
le organze alle ginocchia delle
spose
vi ho visto custodire altri segreti
rincorrere le volpi
spogliatemi nel maggio
e nelle cure
porgetemi le guance di paure.
Sorelle con le inerzie
le mie tantissime confuse
in mezzo ai libri di un figlio
col dito puntato sul cielo
per lui che piega nel sonno
‒ io voglio! –
gli anni dovrebbero correre
e soprattutto lontano da qui
dove le scene si ripetono sempre
io madre
con le maglie da asciugare
la finestra è la stessa
troppo silenzio
ma io mi dico
‒ voglio! ‒
preparo i miei bagagli del riscatto
questo atto di teatro
le valigie con lo spago
via! Via! Via!
Me lo dico
da centesimi di tempo
me lo dico nell’inverno
e l’umido si taglia sul viottolo di
casa.
I miei gatti come lari a farle
veglia
sono diventati grigi
questi gli anni, perché d’inverno è
facile:
tu prendi la strada di fango
e scendi dove i sollievi
sono gli autobus che voltano ogni
tanto
scendi
ripeto, e ti senti salvata.
Portatemi in mezzo a quelle luci
nel traffico di verità
fanno nelle grinze
le mie conferme al meglio.
Di novembre si può
io non corro molto bene.
Poi
il tramonto a sorpresa
si consuma la fine di ogni
resistenza
sei vinta e per sempre
troppo colore
troppo il dolore di trascinare
fuori le radici.
Come dici?
Non sono pianta?
Sono una donna con i piedi
è una pazzia.
Il dorato alla porta
la quercia ha rimesso le foglie
la casa è luminosa esattamente
tra le canne e la rosa.
Mi fa male anche il dorso del piede
non sono buona a correre
non sono buona a sgusciare
come un frutto
ho tenuto dentro il caldo
il suo rovescio.
Piango per niente
e mi impietrisco
punto il dito lontano e vicino
‒ io non posso! ‒
Ora dico
se potessimo insieme
sorelle
pecorelle amiche
e bambine del prima
soprattutto del mai
qui non si combina.
Voi state tese
vi hanno imprigionate
e fatte carne
in mezzo alla folla
celebra le offese
insinua lenzuola
le pietà uccidono due volte.
La gente attende il pomeriggio
per vedere quante volte
può morire la sorella
sullo schermo che consola
le consuetudini ti rubano
la voglia
e sono rituali dei dottori
dei conduttori con le calze buone
mentre tu muori
le indolenze sorde
televisioni assurde.
Cosa è vero?
Ora voi siete
ognuna alle prese con la tragedia
gli assassini si nascondono
e per bene fanno insieme un inganno
ora dicevo
ho donato alla mia volpe
anche il mio fianco:
l’appendice l’ho lasciata sopra il
ramo
ora potrei
se
facciamo piano
ci alziamo
questi legami
che fanno la vergogna
delle amazzoni
bussano nel ventre
sopra il solo seno
con le braccia forti
scoccano vendette.
*
E io qui
come albero di niente
sono una donna
non un lauro dolce
vado a ritroso:
stringo la radice nel calcagno
riprendo le mie dita nella mano
sorelle con le bende per il lutto
tutte bianche sopra la mia strada
portate le testimonianze
il supplemento di un editoriale
dentro il vangelo del mio
quotidiano.
Ora
è il momento di colpire il segno
il centro di un bersaglio
sopra le valigie
ho messo la mia freccia
una per altre
una per tutte
stiperò le vene nella scarpa
sarò più forte della brezza che si
alza.
Scommessa del mattino
sul mio fondale queste mie paure
se almeno una madre
cogliesse il fiore secco per forza
papaveri di troppo
e i capperi dell’orto
sono sirene e cantano:
resta per me
mi cantano
per il profumo
figlia
resta per il profilo colmo
per tutte le tue pallide parole
le gatte sono prove sulla soglia
sul tappetino sono la paura
rifugiano il pensiero e questa
foglia
diventa la certezza del restare.
Non so dove andare giovani sorelle.
E dai rami
io sono diventata
la Dafne che capisce e torna
indietro
mi sono fatta con le spalle lisce
le grinze le ho lasciate
dentro il tronco
il seno me lo dice
senza gli unguenti
mi sono ritrovata
le formule di strega
ho detto invece
in vostra ‒ vece ‒
la trasformazione.
Ho un cuore adesso
non più il muscolo
duro di un nodo.
Semmai ho una fronte
e la bocca più grande
per imparare il sorriso
i miei denti hanno ucciso
ora ho sangue di femmina figlia
ho una scintilla di sesso nel
ventre
sono piena di tempo
e novembre ripete ancora
se ho voglia.
Ragazze
mettete il fermaglio
pettinate i capelli
e le chiavi sono tutte più vere.
Ma io mi fermerò sull’ultimo
scalino
mi fermerò a pensare a cosa resta
e forse già pronta per partire
ritornerò per prendere la borsa
oppure il mio rossetto
i guanti della sposa
dimenticati intonsi.
Solo un momento e poi
il terrore già visto
quest’ultima stagione
il fusto mi preme
le foglie e l’accenno del nido
all’ultimo gradino
sarò la ragazzina
e poi sarò la pianta
del mio prima.
Proteggimi
non reggo la mia forza
chissà se per fiorire
o per distendere
i frutti e la linfa
la quercia qui vicina
e i passi dei fringuelli
mi sfiorano le vene
adesso comprendo
perché non si trovano foglie
mi crolleranno addosso
offro le ghiande
parole fragranti.
Scommessa del mattino
tu volpe
vai pure
a cacciare
l’ultimo topo
del bosco
il rimorso del bianco
apri fondali
e consideri corpi e rifugi
ci tieni a dare alle paure
almeno i nomi
con lo scrupolo di chi va sempre in
alto
per questo ti allontani
e sei già altro.
* Rosalba de Filippis, nata a Macchiagodena in Molise,
laureata in Lettere moderne con una tesi sull’opera del primo Giorgio Caproni,
è autrice dei libri di versi Sotto nevi
di carta (2007), Il filo forte del
liuto (2008), La luce sugli spigoli
(2011).