IL
LABIRINTO
1
Volendo si può vedere,
dato che in tutto il mondo ci sbattiamo,
il labirinto in cui siamo rinchiusi.
Si può visitare, incuriositi,
il luogo dove siamo sempre stati,
si può vedere, sì, oppure si può non vedere,
circondati da altri come noi,
si può andare più in là,
si può vedere ancora,
correndo imprigionati insieme
a chi si copre il viso fra le mani,
si può vedere in quali condizioni noi viviamo,
si può cercare a occhi chiusi,
si può anche dare un’occhiata in giro.
E, cosa più importante:
perché non guardare?
2
Girando lentamente la testa verso destra
si può vedere quella scena già vista,
poi scendere fermandosi su un volto
la cui voce deve dire con violenza e ripetere,
recitando la sua parte
con gesti minacciosi, perfino alcune parole,
quindi può seguire un dialogo,
smorfiette infantili, sorrisi carini,
accompagnati ancora da parole, più o meno,
ma camminando nervosamente in un angolo
con movimenti della testa,
ed è forse da lì che giungono i lamenti,
tra lunghi silenzi
in quella scena già vista.
3
Chi ha conosciuto il labirinto
può forse parlare, tentare di pronunciarlo
o almeno di farlo pronunciare dal linguaggio.
Chi ha eseguito questa azione o un’altra,
chi ha detto questa frase o un’altra,
non simula, sta dentro il labirinto.
Non è questo che conta,
ma l’espansione del labirinto di riferimenti
cui siamo rimandati in assenza di un preciso autore
suggerisce che anche questa è una scena
dentro un linguaggio,
in un labirinto.
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Lamberto Pignotti, Versi immortali, 2011
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