CHECKPOINT POETRY
MARINA PIZZI
 


Cantico di stasi

2011- 2012

 

 

1.

in un ospizio di foglie

la pigrizia dell’angelo.

si secca la gioia di dio

pertugio di lacrime.

incline al giocondo arenile

balbetta d’eco la conchiglia.

in mano all’armonia dell’inguine

resta la giara senza l’olio santo

prosciugato dal resto del mondo.

mandami un calesse avrò già pianto

nel dilemma scortese del fango.

è tutta qui la resina del dubbio

quando la casa crolla tutta sicura

di stare in piedi. i duri fratelli

hanno lasciato la casa dopo il saccheggio.

in un tuono di vendetta la scaturigine

del sacco chiuso a bomba. intorno le vipere

spasimano gl’intrecci. l’ironia del vicolo

spadroneggia sugli amanti senza riparo.

 

2.

quale imbrunire mi offuscherà la fronte

nella schiera di nuvole nemiche

scacchiere senza angeli di fianco.

oggi il diverbio è pastore di se stesso

quasi un convulso esodo di stasi

verso l’ombra che per tutti c’è.

in un buio di casale voglio l’occaso

della pace. in primavera si addice

la mia voglia di avverare aiuto

almeno alle fontane senza acqua

battesimali di cenere per sempre.

la croce sulla fronte non basta

il salario di essere felici, anzi

la casta delle ronde tonifica il demonio.

i prìncipi sono pochi e i sudditi

immensi. così lo stato delle fosse

vive, lo stato del dominio delle cose

fatte ad arco per castigare meglio.

 

3.

posso dormire una notte di scalee

quando le donne con lo strascico

giocano a copiar principesse.

presepe laconico guardarti

dentro il cullare delle darsene oleose

materne quanto un albero di riva.

in mano alla questura di dare appello

la turba che bada la scommessa

di perire sasso senza turbe

né baveri alzati da ubriaco.

 

4.

così si dice pianga la lucciola

quando la manna si fa spazzatura

presso la porta dorata del folletto.

il bimbo gioca a se stesso da piccolo

ma non lo sa e non è felice appieno.

si sa che è uno zero lunatico questo

tuo perno senza cibo sfinito nella ruggine.

nella sabbia che fatica le staffette

corre la fiamma a cercar di amare

le zuffe di ferrosi amanti.

in un duetto di fragole di maggio

invento le gole di fratelli golosi

così noiosi da sembrar gemelli.

l’arena di truppa non fa finir la guerra

né la buona cucina invita qualcuno

per esorcizzare il rantolo.

la pagnottella con il prosciutto è leccornia

da altare. tu inventa una steppa che

sappia grilli parlanti come le gemme

delle favole. dividi con me questo

cimitero acquatico di fuoco. io non

voglio chiamarmi più marina né in altro modo.

 

5.

ho imparato a giocare con le statue

in grandi mari a tuffarci insieme

inguine di donna la marea

sotto la guerra di perdere i bambini

in preda alla resina dei barbari.

in mezzo all’avarizia della bara

sono rimasta cenere sgraziata

dai sassolini dei venti più potenti.

in mano alla paglia dei falò

da viva imparai le ceneri

le belle faville che non smettono.

i cortili dei vivi avevano altarini

acquitrini per i pesci rossi

non peccatori i miti degli amori

aperti a mo’ di libri sui davanzali.

in barca sulla fronte dell’anarchia

la chela del granchio non osò toccarla

anzi si ritrasse per un fido di elemosina.

 

6.

La finestra dello scontento

lungo le rotte del mio sacrificare

la calca della palude. nell’interno

del diamante vedo il cestino

delle inutili stimmate. sono molto a soffrire

questo marziano d’ansia.

indarno gli appunti non spiegano

la disgrazia delle mosse senza rispetto

le malizie che contengono l’arrivo

sulle supplenze del vento sempre contro

il beneficio del faro tutto stante.

in gara con la rondine che vince

si ritiri la noia che dà da piangere

al cinereo bastone del basto dentro.

qui si immola l’avarizia del contendere

solo acquazzoni con le morse delle gocce.

in mano alla pietà della risacca

le scorie nelle mani sono l’affetto

di gente morta nel giardino delle meraviglie

così si dice nelle fole di vinti talami.

la paura del soldato è lo steccato

dinamitardo. qui se ti affretti a scappare

apra la sorte il vento e l’avarizia crepi.

 

7.

quale bistro truccherà il mio zaino

in perla d’indovino finalmente

per correre alla maniera dell’atleta

con la lancia in resta e la corona in testa.

nulla parlerà di regole oceaniche

visto che lo stagno piange fanciullo

e la pallottola ha trascorso la nuca.

così morta la ciurma della ronda

nulla potrà cantare alla madre del bivacco

l’accomodo di dirle una pietà.

alla cometa del rantolo maniaco

si scomoda il respiro per spirare

la corta moda di morire sùbito.

in mano al dado del sicario

si ottenebra la calce del loculo

quale più oscuro anfratto di bracconaggio.

in mano alla caduta della rotta

faccio ammenda di me nei secoli

per le placente irrise che non ebbi.

 

8.

dio di cancrene stare zitto

sul filo del rasoio come abaco

atto al rasoterra. l’alone della terra

è fiato smesso pronto per il sottomesso

fato di sospiro. e sempre rantola il guasto

della conca in culmine di oceano. iddio

canuto questo scempio fiumara di fumo.

addio al sasso che giocò al vetro rotto

dentro il cortile d’infanzia. è giara di veleno

l’alunno zoppo che non può scalciare

contro la poca aureola del sogno.

in lutto guarderò la sedia vuota

dove rantolò la scherma di Ulisse

il bel cerchio di restare vivi.

in fondo è un cipresseto anche l’annuncio

di chiamarsi al dondolo. muore la spada

d’accatto quando giocare sfuggiva la cavia.

oggi si accantona il bacio

per un giro ancora.

 

9.

mi metterò l’occaso in riva al sangue

e capirò perché la luna è piena

o spicchio di capestro. l’alunno saturnino

della pena gravita una roccia. dove da oggi

è turno di scempio prestare il rantolo

occludere la fiaccola del coraggio. in stato di

omuncolo regalo assiomi miracolosi

d’asma. eppur domani sia consono

il re del soqquadro per la caligine

del retro stato. un fato di nebbia

mi epuri l’odio. non basta raccontarsi

un enigma se la storia è dio. è da sùbito

l’urto con la fossa certa. d’animo e conclave

non avrò amore nel furto di esserci. la cenere

d’olimpio dove si culla il sole senza speranza.

e la darsena si acclude all’osso di sterco

al comignolo che ottura il cielo

verso la rottura col mito. in fase maschia

non sarà riscossa espugnare il rantolo.

 

10.

finalmente avrò un bottone d’agio

finalmente. e dietro l’ambito delle vene

rosse non ci sarà più il sangue, ma la fine

dolcissima della vita. nel ginnasio degli angeli

voglio andare dove la pena non è neppure

un ricordo. nelle scalee di prìncipi e tiranni

resta l’odore della morte per il popolo dei

gioghi. gigli secchi comprendono le tombe

quando nessuno si ricorda più

di quali stati fu il cruciverba e la badata

stasi di dormire raccolti in un apice

di piume. lo sterzo è la vendetta del morente

con urli o silenzio secondo la paura.

immersi in un letamaio di giullari

si contamina restare stamberghe di sé.

 

11.

lasciami andare a un sinonimo di eclissi

dove l’abaco conti solo miti

e siluri di alfabeti miracolosi

dove la cornucopia è sazia

e la viltà non ha indici

né sbagli di scommesse.

intagli di meraviglie starti a guardare

nell’eremo che soqquadra le pianure

perdurando le eresie del bello

sotto le cimase dell’esodo folclorico

e le rotte evangeliche del sorriso.

indarno il quadro scoppia di bellezza

se questo deserto è prova di catrame

e la trama del foglio perde la scrittura.

il trono maniacale dell’estetica

espunge il costato dell’arsura

questa bravura di piangere per sempre

nonostante le zeppe sotto la lavagna.

il crudo amore inguaia la progenie

misfatto editto per la solitudine

tutte già belle le turbe delle spose.

 

12.

mia madre è morta di strano cuore

una maretta intrisa di preghiera

la mia di sapida bestemmia

dove la pietà si annulla in urlo.

in un covo di rettitudine blasfema

ho sopportato l’agonia la gogna

dell’attesa e il silenzio finale.

con un pellegrinaggio di lenzuola

la giornata si fa atroce come la purea

di tutti i giorni e le cibarie pessime.

escludo da me la veglia della gioia

questa vanga di fanga e di gran fuoco

quando i fiori si gettano per terra

a piramide profumata. si toglie tutto

anche la croce per la cenere maligna.

resti o svapori poco importa alla baldanza

di lucciole letargiche e fuochi fatui.

i lavori degli uomini continuano

a trasportare morti per furti futuri.

si ruba ai morti tanto non costa niente

e la baldoria non barcolla un attimo.

 

13.

l’arringa del salice piangente

ingenera chissà quale soccorso

verso il sudario della donna in lacrime

sul crimine d’intendere l’area del pozzo.

quale dolore t’infilzò la milza oh fratello

del bosco? quale scoscesa realtà

volle sedurti al panico? intùito vederti

ormai che morta fu la nenia di

baciarti oltre. così commosso l’antro

del mio bene non trova strada sul dazio

del sale. ora me ne andrò per far cometa

il sogno. al vespro la madre non rincasa.

tu sapevi che piangere è morire lungo

la rotta del salario chiuso. misure d’asma

non trovarla più.

 

14.

vado all’espatrio ogni notte

con un tatuaggio nel cervello

botta e risposta senza fine

la mia carriera visitata da ferri

arroventati. nei denti un faro

di conchiglia. una perplessa

aurora quanto un cimitero

divelto. miserere del respiro

continuare la scansione del

tempo. vocativo d’estro volerti

accanto. camminami sul petto

abbi pietà del mito che ci rese

fragili. passa la vendetta un canestrello

di vespe. la grazia occulta della siepe

è un buon cammino nonostante

non sapere l’aldilà. incudine di putti

verremo uccisi tutti.

 

15.

qui si sale in coda all’erba vinta

alla riscossa che non sa di niente

né di pane azzimo la scuola.

il perno della foce è dietro l’angolo

una madonna in estro di fallacia

per un girotondo di perle senza

viottolo. si sta conserti mappamondi

in torto sull’occaso di dar spallate al mondo.

 

16.

al caso del mio cantuccio si cammina

a vuoto. fantasma di rovina accavalla

le gambe come una signorina. inganno

in camice chirurgico non sa operare

la rima con la vita. tacita piange la zucca

delle ceneri parenti, padre e madre simili

al cemento. urlo l’uno silenziosa l’altra

la cuccagna dell’aldilà è da vedere

con l’esame dei bocciati. le spalle ordinate

di soldatini morti. le cicale hanno smesso

per pietà di far tormento al calco dell’estate.

intruglio di penombra questa perpetua

stasi. sentire addosso le resine è cimelio

d’altitudine contro la pozza del seminterrato

d’oggi. ordigno di cometa sapere le regole

del tempo vetuste come la luna presa.

 

17.

le gambe affusolate dell’origine

incutono un rispetto solitario.

l’indagine di me si fa all’oscuro

dove tramonta l’ebete maligno

e si ristora la belva addormentata.

in un canestro di vuoto il lamento

della giacca lasciata lungo il viale

nero di cornacchie di malaffare.

una cura a salve mi promette pace

cornucopia di ragnatele per salvare

l’eco del tunnel che fa stramazzare

i passeri e i velluti delle spose.

in me silente la bramosia del secolo

consacra bancarelle di molestie

per le stelle che non riescono a salire.

indagine di cometa starti a guardare

alunno che non seppe la lezione

né il rospo cavernoso da salvare.

 

18.

quale sarà l’occaso che mi stroncherà

il viso. la giostra sarcastica che non giocherà

pietà. mano alla nebbia forestiera

si chiude il parnaso dei cipressi

i pioppi segaligni che stanno stare

al fianco della gara dei ribelli.

in tutta gratitudine voglio chiamarti

amore segno di velluto per la notte.

invece la guerra è alle porte dove

si disprezza il giorno. in un fagottello

di ghiande ho messo via chi sono

una manciata di eremi dismessi

dove piange la fanga abbandonata

l’indirizzo illusorio sul palmo della mano.

 

19.

Aletta di digiuno guardarti il viso

morto all’altezza della favola

di trovar vita. mitezza d’aquila

la foce senza genitori, sola.

sul foglio di ruggine è caduta

la rondine. in un dirupo di squallido

meandro si azzera la fanciullaggine

la gita pazza di rompere l’argine.

diceria del canneto amarti

sotto i sassi della discordia

la lampada canuta senza luce.

invano questo restare invano

stani nei vespri le stanze più belle

le astenie pro capite di lividi.

è un gennaio afoso quasi un agostano

storpio stanato da chissà quale bestemmia.

guancia di meringa la tua anima

manciata sulla luna e di ricordo.

 

20.

la gita sotto il crepuscolo

ladrone di speranza

dove si attiene il bozzolo di nascita

la stampella certa del divenire

acrobata di sterco sulla terra.

l’indugio qui a carponi trottola

di niente e sghignazza la fola della fortuna

lontana dove non avviene aureola di sole

né apostrofe d’amore. il nulla dove si aggioga

la clessidra ha il basto certo della risacca

l’acume vuoto di perdere ossigeno.

 

21.

scansione di autunno le foglie

che vegliano l’amore restio

sul greto della voglia di morire

incudine e martello un solo trespolo

per allontanare la furia della luce

e l’ìndice a cimelio della scorta

d’ombra. bravura già sarà non aver

malore né languore di tirannide la

trottola incapace di pietà. tu dammi

un angolo di cipresso una leccornìa

per la vergogna di esistere e la stazione

dentro l’occhio pavido di dadi da lanciare.

me includi l’arena della giacca per un gioco

di cristalli con le domeniche fangose

sotto guanciali nebbiosi, tragici.

il grappolo di mimosa è fregato

dal fischio del vento senza avvento

nel chiodo dell’orecchio saturnino

nomea di sé giammai l’armistizio.

 

22.

dio del pensiero storpio

abbuia già.

qui sulla mensola del fatto

si registra l’asola di piangere

la strada nulla dell’apostolo

generico.

non tradurre le ceneri del silenzio

tra le novene azzurre delle povertà

le crisi del vero sotto tramontana.

invano si palesa l’ermo della stirpe

l’inverno canuto del postremo

indizio. vicende di trascorsi

non credere al vieto annuncio

dell’angelicato stato. il cencio

della morte porta via laconico

l’albore vate del gerundio nuovo.

 

23.

al cospetto del cipresso voglio andarmene

alunna senza la cornucopia della gioia

in mano alla stazione della veglia

dove galleggia la fioca giostra della strada

e si danneggia l’agave bonaria

e l’aloe patteggia la dimora.

invano le frescure della notte

ingannano il talismano reso cieco

dalle asme vigliacche delle ciotole.

le cure vandaliche del cosmo

disperano le rotte del fantasma

le migliorie del falso per i mozzi.

in terra d’ascia le fanciulle estreme

dimostrano che l’inguine è la forza

abbreviata del cielo. imposta l’ombra

all’acuir del bavero il vento si troneggia.

il compleanno del frutto è sotto

stasi d’edera. nulla si accredita

alla faccia dell’ambulante. qui si muore

in palio di giocata dove la rotta spande

secoli di secoli e la mania esercita

vendetta. il panico già liso della fronte

intonaca la curva della morte.

 

24.

la pietà di un antro è quando giungi in ritardo

e sgretoli la messa in un sudario

antiquato come un bambino morto.

indugio e catrame il tuo sguardo rantola

dalla trottola dell’alba fino a notte fonda

e la ginestra grida il tuo dolore.

in fase di randagio il tuo rispetto

non trova pietà. all’interno del fato

la rondine stramazza. qui si coltiva

l’imbroglio per il pianto inutile di scarto.

indagine e premura non supportano

la rotta né il fieno per gli innamorati.

è una crosta d’anima che sanguina

vicino all’angelo custode così impotente.

in tutto lo scempio di subire si spegne

la patria di darsene darsena. muore l’aurora

che segna il verso e la paura è la forsennata

strage sul genio del bambino. l’area pedonale

della stirpe non sopporta famiglia. il diavolo

della discesa è ripida falena. il gaudio della iena

è in fase di strappo di morso letale.

 

25.

più vicina si scontenta la nebbia

erbaccia del cielo piena di denti

per impaurire la cialda della rupe

appena in tempo per cadere.

s’infrange il bozzolo del sole

bestemmiando lo zotico carbone

che lo attende amico inutile di fede.

invano lo scarabeo della mondezza

trafuga pallottole di pane

tanto la fuga lo schiaccerà al passo.

immensa la fortuna della ganga ridanciana

dove si avverte l’Ercole di giungere

chissà dov’e la mania del bello.

in ernia di ciabatta voglio correre

con la graziosa epidemia di piangere

sempre e perché con il motivo vecchio.

ingiungo a te di chiamarmi astrale

cometa elemosiniera, canestro chiuso

alla palla. anzi avverti i miei che sono

morta nonostante la criniera del gallo.

 

26.

mi va di crollare nel fantasma

ascesi finalmente senza asma

né manuali per restare

nonostante il lutto che spalanca gli occhi.

in fatto di cornucopia ho perso il nome

presso la cantata infernale della fanghiglia.

tu che piangi le aureole ventose

del sacrestano le pulizie sacre

senza morto da celebrare.

con le borchie sulla spada dell’angelo

voglio giocare agli inseguimenti

tanto per farmi amare un po’ di più.

in palio alla materia del contendere

sto giù da tempo senza museruola

né crolli di comete fratellastre.

strazio e cipiglio questa anestesia

non buona al dolore che si ripete

fratello di iena colmo di bestemmia.

mia la manciata degli sterpi

volitivi al massimo della furia

dove si addentra la madre senza figli.

 

27.

sarà festivo il dì del nome tuo

traguardo di balbuzie nonostante

lo scarto dell’ombra. avrai di dio

l’icona buona la saggia chiave di

chi rompe indugio per flettere la

nebbia oltre steccato. la conca della

culla sarà conclave contro la veglia

dell’ora tragica. beltà del sacro cuore

la tua nomea è vertigine di bosco

dove consola la terra la bestemmia.

la stiva della ruggine fa di sangue

il veto, la rotta ginnica di guardare

il sole per adoperare la vita verso

l’estro di conoscere la lira delle statue.

canestro ingordo l’infimo del bordo

e la giuria che convoca vocali di abbecedario

la filastrocca occlusa alla vendetta.

ammanco di cipressi la tua stalla

viadotto di comete senza magia

nel ristagno del fiotto rantolante.

 

28.

viuzze di alfabeti starti accanto

simulare l’occaso per un brivido

d’amore. invece è tacito l’embrione

di morire da sotto il glicine

piangente. gerundio di rondine tornare

natività del bandolo il sorriso

se finalmente si eterni la questione

di ridere accartocciati insieme ai fiori.

si erutta sul calvario l’ultimo bacio

cimitero di rendite desertiche

milite ignoto l’occhio di cristallo.

in tasca l’arbitrio del diario

con l’elemosina scaduta della briciola

il sisma in canottiera della sposetta.

miriadi di rantoli guardarti andartene

in mano alle lanterne delle grotte

dove nessuno è visto per vedere.

in tana sull’occaso piange il figlio

con la scarogna enorme della nascita

inflitta per dominio di demonio.

 

29.

con la palude negli occhi

continua il ludo di perdere la spada

nella conca di mia madre che non è arrivata

partita dall’avamposto del rantolo.

così si sceglie l’osteria del sorso

verso la gita di perdere la veglia

e il germoglio di orecchini regi.

gironzola così l’attore di cometa

quando lo sforzo è fatuo di piantagioni

ginestre di pavoni i giardini infantili

nell’aprile la quercia si fa vestale

di strani strali verso le rovine del tetro

malessere sonnambulo di grido.

al fuoco delle rondini che scappano

la malia del demonio se la ride

con l’attaccapanni impicca i poveretti.

sull’orlo della frusta ho stimato il cuore

neastro come il panico del sale

stato nella cenere per sbaglio.

 

30.

così si muore nel dialogo del sale

il borgo chino della bocca secca

quando felice come addobbo il gobbo

passeggia nei viottoli più ciechi.

tranquilla nella morte la madre

ha il volto diafano del consiglio

la nulla fame del singhiozzo ucciso.

incontra insieme a me la stanza vuota

il lavorio di sembrare vivi

nonostante la voglia di morire.

così è mortale la spianata d’ascia

quando l’alunna non sa la lezione

né uno scivolo appena per scappare.

in curva alla minaccia dello strapotere

resta la culla unica del fiato.

 

31.

non sarà l’occaso a rovinarmi il viso

né la casta delle rovine addosso.

in fase di postura mi mancherà la madre

la bella fiaccola che era guardarla

dall’apice della gola la gioia in pianto.

l’erpice del demonio è un’acuta vergine

una risposta fatale per la botola

di non tornare a casa.

 

32.

così si carica il mio ridanciano aspetto

questa pupilla con l’iride bianca

senza rispetto per le farfalle.

sono una gestante senza figlio

né per caso un lingotto d’oro

per i piatti della cena di natale.

sono una molecola stizzita

un pallottoliere senza colori

né eremi nascosti per la scarti.

in culla di mestizia ho curato

un angelo, pensa un po’ un angelo

protettore ammalato di impotenza

e lusinghe tramite le preghiere.

qui non c’è pace nella sarabanda

del caso, ma piange il dotto che

non sa parlare. le lunghe astenie

non sanno abbattere un caso contro

una palese ingiustizia sul fratello

accanita al guinzaglio della disputa.

si abbatte l’ardore in un fermaglio

stia zitto l’uomo che blatera risparmio

verso il costante cospetto di morire.

 

33.

la bisaccia della rondine non basta

a trasportarti da me. l’inguine della meridiana

inventa un amore per tramortire

le paludi. indagine corsara starti a sbirciare

per ciarlare il verbo di rincorsa

inventando la guardiola delle gioie

inesistenti e vane.

giochini di comete nei bambini ciechi

quando la bussola connette le onde

per divertire quegli occhi spaesati

riuniti sotto buio. la marea del discanto

scaturigine le nenie poverette

le turbe scure di chi piange sempre.

prestato Olimpio starti a guardare

da sotto le tenebre del fato

tanto per giocare con la terra smossa

riordinando i fiori all’insaputa del grano.

giorno notturno la spocchia del pipistrello

quando i cattivi paventano i morti

e le notturne spole delle lucciole.

l’indarno fa con me la vita nera

l’apostolo diavolesco degli sterpi

dove si fanno asole cucite per far

restare il petto aperto al vento.

 

34.

chiude la voce rantola pesante

mistero d’angolo, mia madre.

pagliuzza di cometa presagire

quale sarà la zattera salva

l’aquilone al dito della gioia esatta.

va e si spreca la furia dell’onda

mareggiata senza cantico di sirene

né rotte esotiche da girare in guado.

morente l’addobbo della nuca

nel silenzio botanico dello sguardo

la solitudine senza panico guasto.

imago la rugiada sul capino del passero

pensa la goliardia di trovare un ufo

da sotto l’orto abbandonato a sasso.

 

35.

già s’inarca il fausto cortese

il senso molle del fusto senza albero

quando bambini si gioca con qualsiasi

essenza di divario. io non trovo luce

d’oratorio né verso da scrivere redatto

dal ponte dove stridono i gabbiani

o le bambole remote di chi fu

vanesio esule di sé. ingordigia di sale

aspro ricordare il costo di crescere

sotto la luna sprone per i sogni

vellutati daini. s’innamora l’atrio

della diaspora quando tutti stanno

andando via verso il silenzio del dato

tratto. in mano alla macedonia del dolore

si tempra la vergogna del gran piangere

noi sterpi qualunque di vogare. in piena

alla fanga atavica del lutto

torni l’encomio di fingersi ginestra

la tempra giusta di giocare in coma.

 

36.

vanno di moda i trucioli del baro

le litanie maligne delle ruggini

quando soccorso non arca arcobaleno

né al forziere si aliena la ricchezza.

una legione di acrobati le stille del sangue

quando le amazzoni purificano le chiome

col vento di maggio. è giocoforza non combattere

le falle avvenute dal lontano scarabocchio

della botanica acerba. le serre troneggiano

l’afa del buono dove ingrassano le piante

succulente e labili come un viaggio sacrale

verso il più lento spirito di bacio con spina.

s’inforca la pietà per le lentiggini giovanili

quando la rotta è un apice di raggio

e la paura un tuorlo da farcire.

impaginando l’estasi in un tuono

allora ho il libro da cucire per darlo

alla ginestra più tenace al cibo migliore.

 

37.

invia il sale all’unità degli occhi

dài soccorso alle lapidi bambine

dove s’intromette il sorso del diavolo

o il cannibale volo della cornacchia

rumorosa. abbi pietà di me che salgo

lungo navate viscide di brina

e conseguente il lamento quotidiano.

nonostante l’avallo dei ciottoli per correre

resta la fiaccola di non capirci niente

né sotto ruota né in apice di gemma.

il mare che azzera le pignatte

non sa fare la polenta della nonna

né la cometa azzurra delle fate

lamentevoli qualora le si lasci spente.

io piango l’avventura della roccia

la scialba calamita del bello fiore

la baraonda dei casi di diamante.

inverno toccherà la ronda dei fantasmi

il mito caro di dirsi fuoriusciti

dalla vendemmia di vendetta. non ci sarò

pertanto per additarmi vinta.

 

38.

favola ingorda lato di proverbio

tutto contuso il rantolo del santo.

senza speranza il tufo del tugurio

quando domenica si esalta di benedizione.

è giusto il frate che dimora acqua

e pane in un letto di stoppie.

memoria confusa l’arsione di amore

quando la pia indagine del bacio

ciondolava allegrezza sotto l’abaco

di contare le rimanenze e le zattere ferite.

in mano al conclave delle nuvole

abitava una storiella senza senso

né come d’uso si potesse fare

la lirica del petto senza soffrirne.

 

39.

invecchia la primavera in un arancione di gambi

la briciola del passero avvera la pietà

se da domani scricchiola l’inverno

e il paese doma la cicala

patriottica e ribelle.

di già palese l’eredità tombale

quando chiunque tace sulle sevizie

subìte in età solare. la massima mansione

è sanatorio d’astio quando qualora qualcuno

sorride d’ilarità finale. gaudio da scoglio

somigliare l’angelo traguardo nel dado fido.

il tutto il mio saluto arriverà premura d’angelo

finalmente la gerla di una mole di fiori

dove qualcuno riderà ragazzo

ed io simile sarò. scherni d’innesti non saranno

i fratelli trascurati dalla baia del porto

dove si foggiano gli orfani. tamburi di norme

le direttive del cielo o la barzelletta blasfema.

 

40.

dove cicala il mondo l’elemosina

grandezza stimmata del vuoto

caracolla nel diluvio delle lacrime.

qui un’identità è un coma castellano

invaso dalle onde delle meduse

senza occorrere dire la bellezza

qual fu un aneddoto felice.

fa conserva la rondine del nido

e la barcaccia del cielo sfinito

non aiuta le lucciole del cespuglio.

in mano alla mignotta che intristisce

viene dal cavo la resa marmorea

il nodo in panne di trovar la pace.

 

41.

sarà così che andrà via l’umano

dal sangue prolisso dell’invano,

la gloria scalcinata dell’infanzia

quando mia madre m’incise il cuore

per una manciata di cipressi plurimi

dove nessuno osa ridere la nenia

di guardarli. in pugno all’osso di mio padre

morto questa cometa resa permuta di sé.

la giuria della foce è il disinganno

protervo quando una rupe in fretta

canuta. la tuta della neve è un pupazzo

che fa cadavere sulla panchina

patente noia della vita china.

il feretro del sole non sa promettere

che regalie di ceneri. il ghetto del sopracciglio

non mi fa vedere che ombre nel breve viale

che sperpera la rosa e la inuma.

 

42.

resisto da sola in campo corto

in un assesto di storia quasi sbornia

per uno svilente anfratto senza abbracci.

brancolo una neve che mi dia rispetto

un aspetto smilzo per le rondini

finalmente una gincana credula

dove addormentare il tempo.

un urlo bonario di civetta

accrediti il lunario presso dio

con la risposta in apice di cielo.

qui a me di spalle c’è un diamante cieco

valore letargico e mortale. accanto

a un amante mansueto s’issa

la stazza del verdetto.

 

 

 

____________________________________





*  Marina Pizzi è nata a Roma, dove vive, il 5-5-1955.

Ha pubblicato i libri di versi: Il giornale dell’esule (Crocetti 1986), Gli angioli patrioti (ivi 1988), Acquerugiole (ivi 1990), Darsene il respiro (Fondazione Corrente 1993), La devozione di stare (Anterem 1994), Le arsure (LietoColle 2004), L’acciuga della sera i fuochi della tara (Luca Pensa 2006), Dallo stesso altrove (La camera verde, 2008, selezione),  L’inchino del predone (Blu di Prussia, 2009), Il solicello del basto (Fermenti, 2010), Ricette del sottopiatto (Besa, 2011);

Le plaquettes L’impresario reo (Tam Tam 1985) e Un cartone per la notte (edizione fuori commercio a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998); Le giostre del delta (foglio fuori commercio a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario” 2004).

 

Sue poesie sono state tradotte in Persiano, in Inglese, in Tedesco.

 

Numerosi e-book e collaborazioni si possono leggere on line. Ha vinto tre premi di poesia.

 

Sul web curava i seguenti blog di poesia:

http://marinapizzisconfortidico.splinder.com/=Sconforti di consorte

http://marinapizzibrindisiecipr.splinder.com/=Brindisi e cipressi

http://marinapizzisorpresedelpa.splinder.com/=Sorprese del pane nero

Stanno per uscire: La giostra della lingua il suolo d’algebra, Edizioni Smasher, 2012; e Un gerundio di venia, Oédipus Edizioni, 2012.

 




Scarica in formato pdf  


 
Sommario
Checkpoint Poetry

Il contatore dei visitatori Shiny Stat è attivo da dicembre 2006