Da: Antiprodigi
e passi falsi, collana Inaudita, ed. Transeuropa,
libro + cd, pp. 44, € 15,00, giugno 2011
Gilda
Policastro
è nata a Salerno, cresciuta in Basilicata e vive attualmente a Roma.
Italianista, critica, scrittrice, ha pubblicato libri di critica e di teoria
letteraria e il romanzo Il
farmaco (Fandango, 2010 ). In versi ha
esordito con la raccolta Stagioni
e altre, nel “Decimo Quaderno di Poesia” (Marcos
y Marcos, 2010 ). Ha partecipato a rassegne e performance, vincendo, tra
l’altro, il premio “Antonio Delfini”, edizione 2009, e il premio Mazzacurati-Russo con il prosimetro La famiglia felice
(d’if, 2010 ).
Massimiliano
Sacchi
è nato a Napoli, dove tuttora vive. Compositore e polistrumentista, ha fondato
l’ensemble Ringe Ringe Raja con cui ha pubblicato il cd Unreal Book vol. 1 (Prikos, 200 3). Ha tenuto concerti (Ravello
Festival) ed esibizioni radiofoniche (Audiobox,
Fahrenheit, Radio3 Scienza), e realizzato colonne sonore per spettacoli
teatrali e film, tra cui il documentario La bocca del lupo, vincitore di numerosi premi
internazionali.
1. Hora (Trad. / Sacchi / Policastro) [
ascolta il file mp3 ]
2. Torti / Macerie elettroniche (Sacchi / Policastro - registrato in Sacchi’s Cabinet e prodotto presso il Folder Studio) [
ascolta il file mp3 ]
3. Fior da Fiore / Entrate in un giardino (Policastro
/ fisarmonica: Roberto Vacca)
[ ascolta il file mp3 ]
Post produzione di D. Della Monica
e M. Sacchi per Orpheus cccp
***
Hora
E chi si muove da
terra Si sta così bene Non si sente dolore, non si sente niente
Così vivono quegli altri, strisciando Senza illusioni Già pronti al
Ritorno
È bello qui Non si deve andare da nessuna parte Si può rimanere fermi, e
aspettare
Oppure anche solo rimanere fermi Stare così Insomma, senza Attività
Quale sarebbe poi l’alternativa Andare in ospedale, oppure a quella cena di
amici
No, rimanere è senz’altro meglio Rimanere senza aspettare, senza andare,
rimanere col dolore, e a poco a poco sperare, sperare che vada via,
ricominciare a respirare, ma senza la pretesa di alzarsi Rimanere fermi,
sdraiati
Ha una sua logica, è ordinato, risponde a uno schema
Lo schema dello stare, del rimanere Senza agitarsi, senza smanie
Quanti ora, a parte quegli altri, sono lì, in questa posizione
a fare questa cosa che non è un’attività, è solo stare
Probabilmente non tanti, ma qualcuno sì, qualcuno è a terra, così, steso
coi palmi delle mani che aderiscono al pavimento Stare qui
perché nessuno te lo chiede, nessuno se lo aspetta, anzi,
qualcuno vuole che ti alzi, e, se stai male davvero, in ospedale
Ma se non stai male, allora, c’è quella festa
a cui bisogna subito andare Cambiarsi d’abito, mettersi il trucco giusto,
le scarpe abbinate, il cappotto figo Andare, andare
subito,
guardare gli altri con la faccia opportuna,
con le parole intonate, la rilassatezza domenicale Sorridere, sorridere
anche col dolore allo stomaco, che se era un dolore serio
a quest’ora ti trovavi in ospedale, invece sei lì,
e allora puoi sorridere, rilassarti, goderti il vino, che al tuo stomaco
è come un colpo di frusta sulla schiena di un cavallo Le tartine,
mangia le tartine, hai ancora mal di stomaco, poi passa Ma no,
sento come un tappo, una puntura, non va giù nulla,
nemmeno l’acqua Mangia, guarda che poi i vestiti ti cadono di dosso
e non è normale Devi mangiare, dice così,
vuole che mangi, mangia E tu
rimani sdraiato, disteso
coi palmi a terra, dove non devi mangiare, non devi ridere,
non devi essere alla festa, non devi Puoi rimanere così,
sdraiato E chi si muove da terra
Si sta così bene:
non si sente dolore, non si sente niente
così vivono quegli
altri, strisciando
Senza illusioni, già pronti al ritorno È bello qui:
non si deve andare da nessuna parte
Si può rimanere fermi, e aspettare
oppure anche solo rimanere fermi
Stare così Senza illusioni Già pronti al ritorno
È bello qui
Non si deve andare da nessuna parte Si può rimanere fermi,
e aspettare
Si sta così bene
Non si sente dolore,
non si sente niente
Torti
/ Macerie
elettroniche
I torti che ho fatto a mia madre,
nella morte che è ogni volta
dirsi basta senza
guardarla in faccia, dopo la gita,
snobbarla
I torti che ho fatto a mio padre,
lasciando la casa al tramonto,
sfrecciava la macchina e guarda, lui,
dalla finestra, muto
Ho ucciso mia madre
per farmi moglie buona di mio padre
(Ho ucciso mia madre per dirle
non sono normale, non sarò – mai – madre)
I torti che faccio agli uomini
sono meno di quelli che prendo,
mentre imbriglio lo stomaco
d’orgoglio, e la testa
gira a vuoto
Ho ridotto me stessa a una larva
limitando il peso che porto:
se il corpo dà scandalo
strazialo,
che comunque
dura poco
I torti che faccio
li ricordo
meno
di quello che ricevo:
uno spillo
li figge, e fissi
tanto, che ancora, dopo ancora,
c’è altrettanto
I torti che mi fai
sono farmaco
degli altri torti più grandi
che sconto:
e mentre il serbatoio
svuoti,
insieme se ne vanno
il prima e il poi,
la causa con l’effetto,
sparire, andare,
tornare
si fa
così:
Fior da Fiore /
Entrate in un giardino
Entrate in un giardino,
diceva G.
Entrate in un giardino
d’aghi, di tubi, di stami
di plastica, di steli ossigenati
il morbo vi riceve
un suo nome:
il morbo che viene col vento
nel giardino,
naturale
Faccio una passeggiata nel
cortile,
in mezzo agli alberi
(- ti pendono i bambini dalla
testa
come i frutti,
a te -,
ma noi di bambini, non ne nascono
più,
adesso),
guardando fiori,
ciascuno diverso nel colore,
e ognuno che s’offre,
nel giardino di P.
(- fa certi lavoretti con la
bocca,
la violacciocca -
e in bocca, sempre per P.,
ma un altro,
si porta il fiore, preludio di
morte)
la violetta è per l’impubere,
se ti ci nasce,
ancora,
una volta,
e il morbo che bisbiglia,
naturale,
col vento umido-secco,
nel giardino aperto
a tutti
si dona, come la rosa
Cercatevi un rifugio in quel
giardino,
diceva P. (stavolta il primo):
il solo dove rima ancora cuore
con fiore (e non amore):
l’ospedale
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