|
di Marco Codebò
In Rapsodia su un solo tema, il narrato è disposto su tre piani. In
superficie si collocano le avventure del protagonista, Ethan Prescott, musicista e professore universitario di Filadelfia.
Affascinato dalla personalità di Rafail Dvoinikov, autore ormai dimenticato della “Rapsodia per un
solo tema”, Prescott compie diversi viaggi in Russia
per intervistare l’anziano collega e raccogliere la documentazione necessaria
alla redazione di un libro che ne celebri la vita e le opere. Dai dialoghi fra
i due musicisti e dagli altri materiali rinvenuti e catalogati dallo studioso
americano, emergono sia la biografia di Dvoinikov sia
la storia della musica colta in Unione Sovietica dalla Rivoluzione d’Ottobre
fino al disgelo kruscioviano. Per quanto riguarda
Ethan Prescott invece, tocca ai monologhi interiori,
al diario personale e allo sforzo memoriale il compito di ricostruirne la vita
privata e la carriera professionale, nonché i rapporti con le istituzioni accademiche
ed editoriali.
Al di sotto di questo livello si
colloca uno strato tematico più profondo, in cui la componente narrativa lascia
il passo ad una dimensione decisamente saggistica. Obiettivo di quest’area del
testo, che solo per comodità di esposizione conviene collocare su un livello
diverso da quello della trama, visto che nel romanzo l’intreccio fra narrazione
e saggio è strettissimo e continuo, è la discussione della musica colta del
Novecento. Si tratta un’analisi che per la difficoltà dell’argomento e
l’elevato tecnicismo del linguaggio potrebbe far allontanare i molti lettori
non versati nella materia, se in Morandini il raffinato
esame della musica novecentesca non fosse sempre sostenuto da una robusta passione.
Scaldato da questo fuoco interno il lettore acquista piena coscienza, non tanto
dei risultati conseguiti sul piano tecnico e formale dalle avanguardie musicali
del Novecento, quanto della vitale importanza della musica colta, innanzitutto
per chi l’ha praticata ed ascoltata, e poi soprattutto per l’intera cultura del
ventesimo secolo.
L’operazione si rivela possibile
grazie alla mediazione dell’autore, che è animato da una tale corrispondenza di
amorosi sensi con l’argomento in questione da vivificarlo e renderlo attraente
anche agli occhi del lettore più sprovveduto. Il terzo livello del romanzo,
anch’esso strettamente intrecciato ai primi due, è costituito da una
meditazione sui rapporti fra arte e potere. Qui la dimensione narrativa torna a
dominare la scena così da recuperare quella saggistica e rivestirne lo
scheletro con la carne dei personaggi e delle loro storie. Sono infatti le
vicende personali di Rafail Dvoinikov
e Ethan Prescott a guidare il lettore in una doppia
indagine che si appunta prima sulla relazione fra avanguardie artistiche e
potere politico nell’Unione Sovietica e in seguito si sposta su quella fra arte
e mercato nelle società capitalistiche. Se il parallelo fra le due esperienze è
sconvolgente ‒ accanto ad un Rafail Dvoinikov che compone un Poema a Stalin viene a trovarsi un Ethan Prescott
autore del Te Deum
pro the Desert Storm
‒ le conclusioni appaiono inquietanti: “Mette i brividi pensarlo ‒ fa
sentire di colpo meno liberi sapere che il mondo del libero mercato vuole da
noi, sia pure attraverso metodi assai meno inquisitori delle censure e delle
purghe sovietiche, i medesimi risultati: ottimismo, sentimento, afflato eroico,
marcette e valzer” (p. 182). Discutere dell’artista e
del principe, sia quest’ultimo un despota o un tycoon, rappresenta in ultima
analisi la preoccupazione
principale del testo (senz’altro l’autentico tema del romanzo, in ciò
monotematico come la composizione da cui prende il titolo).
Non a caso al problema viene
dedicato un apposito e delizioso inserto, il “Viaggio musicale nel ventesimo secolo”,
un pamphlet settecentesco opera di un presunto antenato di Dvoinikov.
Le riflessioni contenute nel “Viaggio musicale” hanno il merito di situare la
questione della (in)dipendenza dell’artista nel contesto del suo primo storico
manifestarsi durante la Modernità, al tempo del crollo dell’Ancien Régime e del
sorgere dell’egemonia borghese. La complessità tematica del romanzo è ripresa
da quella strutturale. Rapsodia su un
solo tema è un archivio di generi e scritture diverse. Per quanto riguarda
i primi, nel romanzo si ritrovano aree riconducibili al saggio, al diario, al
racconto storico, al romanzo sentimentale e a quello epistolare. Per le seconde
invece, si va dagli appunti alle note a piè di pagina in stile accademico,
passando per la scrittura burocratica (i verbali degli interrogatori ai quali è
sottoposto Dvoinikov) e quella autobiografica.
La lettura del romanzo di Morandini assomiglia ad una passeggiata in una casa degli
specchi. La complessa architettura del testo si regge infatti su una fitta
trama di corrispondenze interne. La carriera artistica di Dvoinikov
richiama quella di Prescott, la tecnica musicale del
compositore russo (basata sull’ironia, la dissimulazione, lo spiazzamento) si
rispecchia nel tessuto narrativo e linguistico del romanzo, mentre l’esperienza
musicale dei due personaggi chiave è la traduzione in un altro linguaggio di quella
letteraria del loro autore; il Settecento, infine, è già il Novecento in nuce e così via.
Valga come esempio di questo
gioco di rifrazioni la visione dell’opera d’arte come un tessuto continuo di
citazioni. Quest’idea (postmoderno d.o.c.) è
implicita nella consapevolezza da parte di Dvoinikov
della definitiva “impossibilità di scrivere qualcosa che non sia già stato
scritto” (p. 175), principio messo in pratica da Joseph Mathias
Mayer, il suo antenato settecentesco, che compone il suo libello rifacendosi a Rostand e Swift. Ma il metodo in
questione vale soprattutto per lo stesso romanzo di Morandini,
che non si finge testo originale ma si presenta appunto come un coacervo di
materiali opportunamente riciclati. Nessuna meraviglia quindi che leggendo Rapsodia su un solo tema si finisca per
provare un senso di leggera vertigine, come ad inoltrarsi in un paesaggio soggetto ad impercettibile e
tuttavia costante mutazione, realizzata però non attraverso la differenza, ma la somiglianza fra i vari luoghi che
lo compongono. Questo stesso
capogiro, d’altra parte, in un ultimo e decisivo rispecchiamento, Ethan Prescott lo prova
ad ascoltare la musica di Rafail Dvoinikov,
che, ora lo si dovrebbe capire, vale così
come metafora di ogni opera d’arte che persegua con tenacia il progetto
della propria autonomia.
Scarica in formato pdf
|
|