Falsetto
Spesso riaccendo
i segni fuggitivi
della giovinezza,
fuggitivi e contorti,
in questo lento
sconforto che pretende
nuovi abbandoni.
Altra stagione si
affaccia sospettosa
e fra i giochi,
impaurito, ho abbandonato
l’ultima cadenza
della luce.
Forse inseguendo
le piccole alchimie
dei racconti,
delle leggende aggredite,
raccolgo il
fruscio di strani aromi,
che aggiungono
ferite al solito nirvana.
Dicevi
lacerazioni nell’affondo
a segnare l’aria
di brusii senza più aroma,
capace di
intrecciare più cellule
per alcuni
sussulti che si stringono
al brusio del
falsetto.
Ritorni
Resta in fondo l’immagine dell’incedere
in fuga per fantasmi e il calpestio
spaventoso quasi incredibile nel
segno di un riflesso,
fibra dell’antica potenza del tuo respiro.
Ha consistenze il tempo,
linea nel senso del cucciolo:
il colore è splendore, rapido e abitato
in questo mondo di roventi inganni,
sfumando il grembo con il gioco di nuvole.
Riesci a riportare la dolcezza profumata
del tuo abbaiare docile,
e nello specchio hai il coraggio di fissare
la forma, sicuro di un fedele
guaito.
Vorticando il sapore delle corse,
da fare invidia alla luna, esattamente
perderti e ritrovarti ogni sera nell’incisione
della tentazione o per la luminosità degli occhi.
Forse ritorni, affiancando gli dei nel cammino
vagabondo, senza mai latrare,
scodinzoli leggero, senza sbagliare un pegno,
unico a riconoscere l’eroe nel cenno
fluida tensione della fantasia in difesa.
Scintilla
Forse il mio sogno riparte dagli inganni,
dall’insensato segno del fiorire,
per arcuarsi nel bagliore, in lontananze,
e ripercorre parvenze di irreali promesse.
Nell’ascolto della nostre radici,
che comprendono e sconvolgono le fughe,
il vorticoso frastuono del prodigio
è nella speranza coltivata alle penombre.
L’indifferenza scotta fra le pagine
per la sostanza strana del terrore,
per le incredibili mosse della solitudine.
Noi, soltanto noi, l’impetuoso contatto
che adesso inizia a credere
nell’essenza stessa dell’amore.
Ora che il richiamo è forza della unione,
dagli antichi tepori, ed aggroviglia il cuore
altri silenzi ammaliano certezze.
A volte torni nel colore del fuoco,
ed intagli lacrime al perdono,
in contraddizione dell’anima invaghita.
Ho abbattuto l’istante di abbandoni
proteso al segno della tua scintilla,
alle parole sussurrate in frammenti,
alla solitudine, ove l’insonnia indugia
per riscoprire il dono fuor della
nebbia,
in un magico sogno
che vuota il tempo e della stanza è spazio.
Nuda
Ebbra!
Alle tue cosce,
divaricando i
piccoli sussulti,
abbandoni il
languore, mescolando
prudenze
irresolute e gli abbagli
che fissano il
sopracciglio, dilatando
pupille e
scommesse del sesso,
anch’esso,
dissociato alle
tempie, nel conforto
dell’ennesima
imprudenza,
sbanda in vertigini ambrate!
Inerme la memoria
sfratta gli archi sbilenchi,
per gemiti che
qualcuno accenna tra gli embrici,
al di là della
porta,
ove lussureggia
feconda la vigna
dai grappoli che
il sole indora.
Tutte le nostre
notti oscillano nel nettare
che inocula gavotte,
già la corda
freme per le variazioni:
tu nuda e
invereconda offri nei sorsi guizzi,
e scomponi spazi
per il nettare.
Rincorrendo il
mio amplesso impazzisci di gioia.
Incompiuta Psiche
sbanda tra i granelli
e scuote le più
belle storie,
libando coi nappi
luccicanti, e concavi,
l’amore che è
rugiada,
e per la
profondità dei silenzi
si accresce nel
calice indifeso.
Ombra
Il richiamo
oscuro della civetta
ritorna al mio
segno intimidito.
Oh, se fossi
ancora con i piedi in terra
in questo slancio
fremente, tra i singhiozzi,
oltre il richiamo
delle telefonie,
oltre il
contrasto di una ottusa bramosia,
accidentato al di
là dei sorrisi,
nel flusso, in
dono tra ritmo e sostanza.
Ogni minimo
accento che consola
è l’indice di
azzurri, è un solo pensiero
sottratto alle
illusioni
lo strappo che si
offre
per le difficili
assenze in cui il pallore
dissimula occhi
di vetro.
Siamo melissa da
scoprire, in procinto
di mostrare altre
mutilazioni.
Aspetto ancora
l’esplosione della giovinezza
tra le rughe
sconnesse, dove una strada
decida finalmente
l’ombra del mio corpo