di re a
VOCE
Guarda: sulla terra vuota del Pleistocene, disperso
in un’erranza sconfinata c’è un uomo che si oppone al Silenzio, l’altro nome
della solitudine, e articola dei suoni che via via
diventano semantici. Divengono fonemi. Diventano Voce.
Dopo il Silenzio, qualcosa che non è dell’umano ma
del Nulla, in principio è la Voce...
Non parola, ma primordiale fenomeno: puramente
sonoro. Dapprima, quell’uomo, il primitivo Eoanthropo,
s’ascolta monologare. Bisbiglia, borbotta, mormora, brontola, blatera e
soprattutto grida, strilla, schiamazza, urla, forse invoca...
Quella sua Voce, rauca o acuta, a
tratti gioiosa e all’improvviso disperata, a chi può rivolgersi se non alle
pietre, alle piante, al mare, al vento, al sole che sorge e tramonta, alla
luce, al buio, alla luna, alle stelle silenti, alla stessa musica delle sfere inudibile
da orecchio umano?...
È incoercibile il suo bisogno di esprimersi. Trascorrono
ere, e vedi non lo stesso uomo ma qualcuno che, pure tanto diverso, gli somiglia:
un Odisseo che, legato all’albero della sua nave, si
offre, muto, a un’altra Voce, quella delle Sirene...
Ma chi ne ha mai toccata una se non quel personaggio
del più bel racconto di Tomasi di Lampedusa, Lighea:
“...
la vidi: il volto liscio di una sedicenne emergeva dal mare […].
Quell'adolescente sorrideva, una leggera piega scostava le labbra pallide e
lasciava intravedere i dentini aguzzi e bianchi, come quelli dei cani [… Essa]
emerse diritta dall’acqua sino ala cintola, mi cinse il collo con le braccia,
mi avvolse in un profumo mai sentito […;] sotto l’inguine, sotto i glutei il
suo corpo era quello di un pesce, rivestito di minutissime squame madreperlacee
e azzurre, e terminava in una coda biforcuta […]. Era una Sirena […]. Parlava e
così fui sommerso, dopo quello del sorriso e dell’odore, dal terzo, maggiore
sortilegio, quello della Voce. Essa era un po’ gutturale, velata,
risuonante di armonici innumerevoli; come sfondo alle parole in essa si
avvertivano le risacche impigrite dei mari estivi, il fruscio delle ultime
spume sulla spiaggia, il passaggio dei venti sulle onde lunari. Il canto delle
Sirene […] non esiste: la musica cui non si sfugge è quella sola della loro Voce”.
Poi, ora, quelle disperse Voci diventano
Parola; e Parola non più di natura, ma di cultura: prima che la Voce,
in empatia con la Parola, diventi Storia.
Non ‘realmente’ riproducibile dalla scrittura, la Voce
è un connotato cruciale dell’identità del soggetto. A differenza della
parola della scrittura, che esiste solo in un sistema di comunicazione tra chi
scrive e chi legge, la ‘parola vocalizzata’ s’identifica infine con la
‘persona’: si pensi alle sperimentazioni sonore d’un Carmelo Bene, uno che
vuole, appunto, ‘essere Voce’, cioè immagine sonorizzata.
“Parla un po’, così che io ti veda” dice Socrate.
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