di Francesca Cosi e
Alessandra Repossi
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Signore a Calcutta
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There
was an Old Man of Calcutta,
Who perpetually ate bread and butter;
Till a great bit of muffin,
On
which he was stuffing,
Choked that horrid old man of Calcutta.
C’era un certo signore
a Calcutta,
S’abbuffava di strutto
e di frutta;
Ma un bel dì un
maritozzo
Incastrato nel gozzo
Strozzò il bieco signor
di Calcutta
Ecco
uno dei limerick per i quali è ricordato Edward Lear, con disegno dell’autore e
traduzione di Ottavio Fatica.
Queste
brevi poesie, dai contenuti apparentemente semplici e dal ritmo di filastrocca,
svelano in realtà una visione anticonformista del mondo e pongono sfide molto
stimolanti ai traduttori[i].
Partiamo
dalla visione anticonformista dell’autore
sintetizzandone la biografia. Edward Lear (1812-1888)[ii]
nacque a Londra, ventesimo di 21 fratelli, e venne cresciuto dalla sorella
maggiore, Ann, con la quale mantenne sempre un legame strettissimo.
Iniziò
a guadagnarsi la vita a 15 anni, non con i nonsense per i quali sarebbe
divenuto famoso, ma con il disegno: divenne un illustratore naturalista molto
apprezzato, celebre soprattutto per le tavole dedicate ai pappagalli (Illustrations of the Famly of Psittacidae,
or Parrots). Per tutta la vita il disegno fu la sua grande passione, che lo
portò a viaggiare per il mondo, per dedicare le giornate a ritrarre i paesaggi
che scopriva.
Questa
abilità lo portò anche a diventare, per qualche tempo, insegnante di disegno
della regina Vittoria, e fu determinante nel portare alla luce la sua abilità
come inventore di nonsense.
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Autoritratto di Edward Lear
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Quando
aveva 18 anni, venne infatti invitato dal presidente della Zoological Society,
Lord Stanley, presso la sua residenza di Knowsley, vicino a Liverpool, dove
avrebbe dovuto ritrarre gli animali della sua collezione. Qui Lear divenne il
compagno inseparabile dei nipotini di Lord Stanley, per i quali inventava
limerick che corredava con buffi disegni. I bambini si divertivano e,
probabilmente, si sentivano sollevati: le storie bizzarre di quei personaggi che
compivano azioni assurde allentavano forse la rigidità dell’educazione
vittoriana. I personaggi dei limerick, infatti, mangiano e bevono smodatamente
(come nell’esempio), indossano cappelli enormi, hanno animali (soprattutto
uccelli, il primo amore di Lear) che trovano riparo nella loro barba o la
strappano per costruirsi il nido. Lear li accoglie per ciò che sono, con tutta
la loro follia o stupidità, liberando al tempo stesso i piccoli lettori dalla
vergogna per le proprie mancanze (sempre trascurabili se confrontate con gli
evidenti difetti dei personaggi!) Per questo, forse, i limerick rimangono così
attuali a distanza di quasi due secoli.
Veniamo
adesso alle sfide che i limerick pongono
ai traduttori, raccontando i passi compiuti per avvicinarci alla loro
traduzione.
Abbiamo
innanzitutto studiato la struttura del limerick, che in genere è fissa:
il
1° verso: lungo, con rima A, descrive il personaggio e la sua provenienza (o in
rari casi una sua caratteristica);
il
2° verso: lungo, con rima A, illustra una caratteristica strana del
personaggio;
il
3° verso: corto, con rima B, contiene l’azione della storia;
il
4° verso: corto, con rima B, riporta il proseguimento dell’azione;
il
5° verso: lungo, con rima A, ripete le
parole del primo verso aggiungendo un nuovo attributo stravagante al
personaggio, oppure contiene la conclusione della storia.
Abbiamo
poi studiato le versioni dei traduttori “storici” di Lear: l’anglista Carlo
Izzo, che eseguì una delle prime traduzioni italiane nel 1935 (ancora oggi riproposta
da Einaudi)[iii],
e il traduttore Ottavio Fatica, che si cimentò con i limerick nel 1994 e
ricevette il premio Mondello per la traduzione (anche la sua versione è
pubblicata da Einaudi)[iv].
Le
scelte compiute dai due traduttori sono profondamente diverse: Carlo Izzo ha
tradotto tutti i limerick delle due raccolte pubblicate da Edward Lear (A Book of Nonsense e More Nonsense)[v],
privilegiando l’aderenza al testo e mettendo in secondo piano la struttura
ritmica. Inoltre, per rendere i nomi di località straniere citate nel primo
verso dei limerick, si è servito di nomi italiani inventati o poco noti. Ecco
ad esempio la sua traduzione del limerick riportato in apertura:
C’era
un vecchio di Budurro
Che mangiava
eternamente pane e burro;
Fin che un’enorme
pagnotta,
Cacciata a forza in
bocca,
Soffocò quel tristo
vecchio di Budurro.
Ottavio
Fatica ha selezionato, dalle due raccolte di limerick pubblicate da Lear, i
nonsense il cui primo verso terminava con una parola rimabile in italiano: ha
tradotto ad esempio There was an Old Man
of Calcutta, che fa rima con
“frutta”, ma ha omesso There was an Old
Man of New York, per il quale è
molto difficile trovare una rima italiana.
Inoltre,
come si vede dall’esempio riportato in apertura, ha privilegiato la struttura
ritmica (con risultati spesso eccellenti) e messo in secondo piano l’aderenza
al testo. Nella sua postfazione all’edizione Einaudi, scrive infatti: “Ho
seguito anche le trame, per quanto mi è riuscito, ma in alcune circostanze ho
preso anch’io per la tangente e pur passando infine dallo stesso luogo ho fatto
compiere qualcosa di diverso ai personaggi”[vi].
Un’altra
sua caratteristica è la ricerca di parole desuete, forme arcaiche, costruzioni
sintattiche bizzarre o modi di dire rari che rafforzano l’effetto comico del
testo. In questa sua traduzione si ritrovano tutte le caratteristiche appena
citate:
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Signore dell'Aia
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There
was an Old Man of the Hague,
Whose ideas were excessively vague;
He built a balloon
To examine the moon,
That deluded Old Man of the Hague.
C’era un certo signore
dell’Aia,
Ti veniva da dargli la
baia;
Per guatare la luna
Sborsò una fortuna
Che illuso, il signore
dell’Aia.
La
nostra scelta è stata a metà tra quella dei due traduttori storici di Lear:
dare risalto alla struttura ritmica dei limerick, che li rende così
orecchiabili, e al tempo stesso rimanere il più possibile aderenti al testo.
Per
il ritmo, abbiamo seguito la lezione di Fatica: il primo, secondo e ultimo
verso sono di 10 sillabe, il terzo e il quarto di 7; abbiamo anche ricercato
assonanze interne ai versi.
A
differenza di Fatica, ci siamo concesse di tradurre i nomi di località inglesi
con altri italiani che, a differenza di Izzo, abbiamo scelto tra quelli di
cittadine ben note. Ecco un paio di limerick tradotti da noi:
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Signora col mento
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There was a Young Lady whose chin
Resembled the point of a pin;
So she had it made sharp,
and purchased
a harp,
And played several tunes with her chin.
Una
giovin signora col mento
Appuntito da fare
spavento,
Se lo fece affilare
Per poter arpeggiare
Melodie con la punta
del mento.
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Vecchio di mare
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There
was an Old Sailor of Compton,
Whose vessel a rock it once bump’d on;
The shock was so great,
that
it damaged the pate,
Of that singular Sailor of Compton.
C’era
un vecchio di mare a Camogli
La cui barca sbatté
sugli scogli;
Il gran colpo alla
roccia
Danneggiò la capoccia
Del bizzarro di mare a
Camogli.
Come
abbiamo affrontato la traduzione? Guidate dal ritmo scelto
(“tararì-tararì-tararera…”), che continuava a rimbalzarci nella testa, abbiamo
provato e riprovato a mescolare le parole, con pazienza, tentando varie
soluzioni come in un gioco enigmistico e aiutandoci con rimari e dizionari dei
sinonimi. Poi, dopo alcuni tentativi, le parole sono andate a posto…
* Francesca
Cosi e Alessandra Repossi
(www.cosierepossi.com) • Traduttrici,
autrici e giornaliste, collaborano con diverse case editrici italiane, tra cui
EDT, Vallardi, Mondadori, Messaggero. Hanno pubblicato oltre 40 libri in
traduzione (da inglese, francese e spagnolo) e circa 20 come autrici. Dal 2005
dirigono lo studio editoriale cosi&repossi
e dal 2010 gestiscono il blog di scrittura e traduzione paroleaperte.blogspot.com.
[i] Della traduzione dei limerick ha
parlato Alessandra alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna: nell’edizione
2009 si è concentrata sulla nascita e la struttura dei limerick di Lear, mentre
nel 2010 ha analizzato il rapporto tra il limerick, i suoi traduttori italiani
e Gianni Rodari.
[ii] Per saperne di più su Lear, si
consiglia la splendida biografia di Vivien Noakes: Edward Lear. The Life of a
Wanderer, The History Press, Stroud 2006.
[iii] Edward Lear, Il libro dei nonsense, a cura di Carlo
Izzo, Einaudi, Torino 2004.
[iv] Edward Lear, Limericks, a cura di Ottavio Fatica,
Einaudi, Torino 2002.
[v] Entrambi liberamente scaricabili
a questo indirizzo:
http://www.gutenberg.org/ebooks/search.html/?default_prefix=author_id&sort_order=downloads&query=498.
[vi]
Edward Lear, Limericks, cit., p. 227.
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