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di Alessandro Fabio Olivieri
Tracce del sogno assente
Gherardo Bortolotti è un autore
bresciano che si dedica alla letteratura sperimentale, ha pubblicato testi e
traduzioni sia sul web che su carta. Nato nel 1972, ha all’attivo un
e-book, Canopo, uscito nel 2005
(Cepollaro E-dizioni), la plaquette Soluzioni
binarie (La camera verde) edita nel 2007 e il wee-chap tracce per dusie 103-197. Risulta tra i fondatori e i curatori di
<gammm.org>, uno spazio di ricerca artistico-letteraria a cui afferiscono
– tra gli altri autori – anche Nanni Balestrini, Marco Giovenale e Andrea
Inglese.
Visitando uno dei blog di Bortolotti
colpiscono le foto che ha inserito nel suo album: palazzi periferici in bianco
e nero metafisicamente in prospettiva, sentinelle dell’assenza e del margine.
Tecniche di basso livello è l’ultimo lavoro di Bortolotti uscito la
scorsa primavera, ora risultato finalista al “Premio Stephen Dedalus 2009”
nella sezione ‘altre scritture’. È un libro concettuale, dove si ritrova la
periferia sotto diverse sfumature del termine: periferia come locus nec amoenus nec facilis con i suoi
outlet, parcheggi e tangenziali, periferia di se stessi per chi ha “smarrito il
[…] codice utente, la parola chiave per accedere alle regioni più dignitose
della […] persona” (ibid., p. 29) e
la periferia da intendere come condizione sociale di marginalità e annichilimento:
“Dalle regioni periferiche del benessere, in cui eravamo stanziati nei giorni
della nostra giovinezza, dirigevamo gli sguardi oltre le feste, gli acquisti
del sabato, le domeniche pomeriggio, e non vedevamo niente” (ibid., p. 25).
Attraverso tracce di scrittura
contrassegnate da numeri in coppia, attraverso micronarrazioni (Andrea
Cortellessa, su TuttoLibri dello
scorso settembre, ha giustamente parlato di ‘denarrazioni’ sulla scia di Mark
Strand) o unità concettuali spesso slegate, ci giunge il quotidiano di alcune persone:
meno che nomi – anzi nicknames – i personaggi di questo libro diventano
assolutamente credibili quando sono colti nelle loro situazioni. Non c’è
descrizione fisica, ma possiamo vedere quello che fanno e cosa pensano: bgmole,
eve, kinch, hapax (rigorosamente scritti senza lettera maiuscola) non parlano
mai in prima persona, ma il narratore è comunque uno di loro, vive nel loro
stesso ambiente e sa rendere alcune pagine veramente corali.
“Vestiti da padroni affollavamo
le birrerie dell’hinterland. Ai matrimoni, ci aggiravamo come guardie del
corpo, chiamando amici assenti con cellulari tribanda” (Bortolotti, cit., p. 10). “Passavamo le nostre serate in locali
arredati con mobili di modernariato, ascoltando il barista tenerci brevi
conferenze sui vini millesimati, sulle birre trappiste, al momento di ordinare
il nostro giro” (ibid., p. 11).
Vite che continuano a
sperimentare la dimensione della mancanza e del fallimento, arrivano ad esserne
anestetizzate, si trascinano passivamente in anticamere affollate da gommosi
punti interrogativi o nelle paludi elettroniche del tedio digitale, rasentando forme
schizoidi di alienazione: “In assenza di validi argomenti a favore del giorno
d’oggi, bgmole guardava la
televisione, dimenticandosi sul divano come un cappotto” (ibid., p. 43), oppure “in certe settimane, e soprattutto la
mattina, era attraversato dalla lucida volontà di qualcun altro” (ibid., p. 33).
L’autore lascia agire questi
personaggi-nome, giovani nella loro solitudine sopraffatti da ‘sabotatori
interni’, giovani già vecchi, che non si fanno più domande nemmeno come Alfred
Prufrock (l’ultima traccia - la 109 – è lapidaria e sintomatica: “esaurite le
occasioni di avere successo, andavamo a dormire”), personaggi-ostaggio del
mercato globale, ma comunque rassicurati dalla loro carriera di clienti e
consumatori. Si registrano le loro rinunce, i loro non-pensieri con apparente
freddezza, a tratti con indolenza. Si mostrano gli effetti che la serialità e
l’ostinazione pubblicitaria del mercato hanno sulla sensibilità delle persone,
condizionando marcatamente persino i ricordi.
A volte il narratore fa un passo
in avanti verso il centro della pagina per condurre chi legge nelle pieghe
profonde della realtà. Sembrerebbe uno slancio iperrealistico, quello che in
alcuni passi manifesta Bortolotti: così si aggiunge il prefisso extra
all’ordinario più grigio, come quando “hapax
preferiva il tepore delle lenzuola, il fondo dei cassetti, gli scorci dietro i
caloriferi. Durante i suoi viaggi attraverso l’appartamento, si riposava nei
pressi di particolari d’arredo secondari, in pianure tranquille ai piedi dei
battiscopa dove, dalla strada, si disegnavano losanghe di luce nella polvere” (ibid., p. 23) oppure, come in una sorta
di epica del supermercato: “Percorrevamo con lo sguardo le teorie di etichette
e confezioni rigide, affascinati dalle ombre che si infittivano sul fondo degli
scaffali, immaginando vite microscopiche ai piedi dei vasetti di sottaceti” (ibid., p. 45).
È una prosa che sa farsi anche
lirica, come a pagina 24: “Nei pomeriggi d’estate, quando le maree delle fronde
degli alberi, mossi dal vento lungo i viali delle periferie, accoglievano lo
sguardo in ondate di verde e brusio, ci ricordavamo di momenti già vissuti e
non diversi, di quanto eravamo stati felici, di quanto le distanze illuminate
fornissero le prove di una redenzione in corso.” La chiarità di questo passo
trascende, e si riverbera per contrasto nelle pagine adiacenti.
Sono pagine scritte con uno stile
che in parte fa pensare al web, ma che si differenzia dalla trasandatezza di
molti testi della rete (che risultano fortemente sconnessi, non credibili e con
vocaboli inappropriati) soprattutto per gli effetti di misura e di icasticità
concettuale che provoca. Le brevi narrazioni di Tecniche di basso livello lascerebbero ipotizzare, se non una
limatura a valle, almeno una notevole sorveglianza a monte dell’atto della
scrittura. Roberto Canella (su Blow Up
della scorsa estate) ha definito la lingua di Bortolotti “precisa ma ondivaga”,
io credo sia una prosa in abiti succinti, senza orpelli né stonature, adatta
alla velocità della rete, ma che, almeno in Tecniche
di basso livello, cela molto controllo.
Sempre su TuttoLibri lo scorso settembre Andrea Cortellessa ha notato che:
“Se la politica dataci in sorte muore strangolata dall’assenza di respiro, il
breve giro delle microvite di Bortolotti è allegoria della nostra schiacciante
modularità. Del nostro essere monadi pallide e svogliate, scarsamente convinte
d’una qualche realtà fuori dell’immediata esperienza.”
Gherardo Bortolotti sa percorrere
la via meno battuta con attenzione per il dettaglio espressivo e con pulizia
logica, dando forza ad una scrittura che non perde in chiarezza, nemmeno quando
cerca di rendere la complessità del reale: il quotidiano si deposita e ci
arriva in una prosa che non fa sentire la mancanza dei versi, secondo una
modalità accuratamente trascurata, esatta ed efficace anche nel suo carattere
frammentario. È forse l’aspetto più sperimentale di Tecniche di basso livello, un risultato assolutamente convincente,
un libro che ha saputo riprodurre la marginalità e lo smarrimento di un’intera
generazione.
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