> Filippo Tommaso Marinetti (testo e voce):
01. Parole in libertà (la
vittoria delle parole in libertà futuriste), 1920 ca fonotipia
[ ascolta il file mp3 ]
02. Definizione di Futurismo [ ascolta il file mp3 ]
03. Bombardamento di Adrianopoli [
ascolta il file mp3 ]
(registrazioni, entrambe, su 78 giri del
30 aprile 1924)
04. 700 km all’ora (dall’Aeropoema
futurista, brano noto anche come: Decollaggio,
poi inserito in Aeropoema del Golfo di La Spezia) 78 giri della
Columbia, reg. probabilmente del 1935 [ ascolta il file mp3 ]
(Da Il Futurismo musicale. Archivi sonori del
Futurismo, vol. I. Le voci storiche, a cura di Antonio Latanza e Daniele
Lombardi)
> Brani di Marinetti con voce recitante
di Rodolfo De Angelis (registrazione su disco 78 giri del 2/5/1924):
05. Brano del Manifesto del Teatro di Varietà [ ascolta il file mp3 ]
06. Quattro
piani di sensualità in uno stabilimento di bagni con violino e
pianoforte [ ascolta il file mp3 ]
(Da Il Futurismo musicale. Archivi sonori del
Futurismo, vol. II. I suoni e i Rumori, a cura di Antonio Latanza e
Daniele Lombardi)
***
>
Nota critica di Simona Cigliana:
Nel
manifesto La declamazione dinamica e
sinottica, non a caso stilato nel 1916, in piena attività bellica, Marinetti
scriveva:
Voglio
liberare gli ambienti intellettuali dalla vecchia declamazione statica
pacifista e nostalgica e creare una nuova declamazione dinamica sinottica e
guerriera. Il mio indiscutibile primato mondiale di declamatore di versi liberi
e di parole in libertà mi ha permesso di constatare le deficienze della
declamazione com'è stata compresa fino ad oggi. Questa declamazione passatista,
anche quando è sorretta dai più meravigliosi organi vocali e dai temperamenti
più forti, si riduce sempre ad una inevitabile
monotonia di alti e di bassi, a un andirivieni di gesti che inondano di noia
reiteratamente la rocciosa imbecillità dei pubblici di conferenze.
[...]
Ciò che caratterizza il declamatore passatista è l’immobilità delle sue
gambe, mentre l’agitazione eccessiva della parte superiore del suo corpo dà
l’impressione d’un burattino affacciato a un teatrino di fiera e impugnato di
sotto dal burattinaio. Il declamatore futurista deve declamare con le gambe
come con le braccia. Questo sport lirico obbligherà i poeti ad essere meno
piagnucolosi, più attivi, più ottimisti.
Le
mani del declamatore devono manovrare i diversi strumenti rumoreggiatori. Non
le vedremo più remeggiare spasmodicamente nel cervello torbido dell'uditorio.
Non avremo più delle gesticolazioni da direttore d’orchestra che cadenzi le
frasi, né le gesticolazioni del tribuno, più o meno decorative, né quelle
languide d’una prostituta sul corpo di un amante stanco. Mani che accarezzano o
fanno merletti, mani che supplicano, mani di nostalgia o di sentimentalismo:
tutto ciò sparirà nella dinamica totale del declamatore.
Il
declamatore futurista dovrà dunque:
1.
Vestire un abito anonimo (possibilmente, di sera, uno smoking), evitando tutti
gli abiti che suggeriscono ambienti speciali. Niente fiore all’occhiello,
niente guanti.
2.
Disumanizzare completamente la voce, togliendole sistematicamente ogni
modulazione o sfumatura.
3.
Disumanizzare completamente la faccia, evitare ogni smorfia, ogni effetto
d’occhi.
4.
Metallizzate, liquefare, vegetalizzare, pietrificare ed elettrizzare la voce
fondendola con le vibrazioni stesse della materia, espresse dalla parola in
libertà.
5.Avere una gesticolazioni geometrica, dando così alle braccia
delle rigidità taglienti di semafori e di raggi di fari per indicare le
direzioni delle forze, o di stantuffi e di ruote, per esprimere il dinamismo
delle parole in libertà.
6.
Avere una gesticolazioni disegnante topografica che
sinteticamente crei nell’aria dei cubi, dei coni, delle spirali, delle ellissi,
ecc.
7.
Servirsi di una certa quantità di strumenti elementari come martelli, tavolette
di legno, trombette di automobili, tamburi, tamburelli, seghe, campanelli
elettrici, per produrre senza fatica e con precisione le diverse onomatopee
semplici o astratte e i diversi accordi onomatopeici.
8.
Servirsi di altri declamatori uguali o subalterni, mescolando o alternando la
sua con la loro voce.
9.
Spostarsi nei differenti punti della sala, con maggiore o minore rapidità
correndo e camminando lentamente, facendo così collaborare il movimento del
proprio corpo allo sparpagliamento delle parole in libertà [...]
10.
Completare la declamazione con 2, 3, o 4 lavagne disposte in diversi punti della sala,
sulle quali egli deve disegnare rapidamente teoremi, equazioni e tavole
sinottiche di valori lirici.
11.
Deve essere un inventore e un creatore instancabile nella sua declamazione:
a)
decidendo istintivamente ad ogni istante il punto in cui l’aggettivo-tono e l’aggettivo-atmosfera
devono essere pronunciati ripetuti [...]
b)
chiarendo e spiegando, con la freddezza di un ingegnere o d’un meccanico, le
tavole sinottiche e le equazioni di valori lirici [...]
c)
imitando in tutto e per tutto il motori e i loro ritmi
(senza preoccuparsi della comprensione) […].
La
prima declamazione dinamica e sinottica ebbe luogo a Roma, il 29 marzo 1914, in via del Tritone,
nel salone della Esposizione Futurista permanente, ma
Marinetti si prodigò e moltiplicò in serate e declamazioni soprattutto nei mesi
che precedettero la guerra e durante la guerra stessa, a scopi interventisti e
incitatorî.
Le
serate si aprivano di solito con la declamazione de La battaglia di Adrianopoli di Marinetti, che, tra i tumb tumb
degli obici, i tataratatarata delle mitragliatrici, il cic ciac paff pluff
gluglugluglu dei muli che si abbeverano al torrente, i pic pac pun pan pan della fucileria e gli zang-tumb tuuum dei cannoni
lontani, non mancava di lasciar basiti gli spettatori i quali, anche se
nazionalisti e interventisti, erano pur sempre per la maggioranza ancora malati
di passatismo.
Arte
teatrale per eccellenza, che molto attinge alla formazione internazionale di
Marinetti, alla sua frequentazione degli ambienti artistici e teatrali
francesi, la declamazione futurista pretende dal declamatore una sorta di
straniamento, che dovrebbe moltiplicare la forza persuasiva delle sue parole.
Marinetti teorizza che, allo stesso modo in cui «l’io letterario brucia e si distrugge nella grande vibrazione
cosmica, il declamatore deve anch’ esso sparire... nella manifestazione
dinamica e sinottica della parole in libertà».
Si
rivela così, ancora una volta, quella formidabile tendenza all’astrazione che
pervade tutta l’arte futurista, fino nel teatro, la più “calda” e ai tempi
passional-comunicativa delle espressioni artistiche. Secondo il Futurismo,
nella oratoria come in teatro, in poesia come in pittura, i sentimenti, gli
stati d’animo, i pensieri e tutte le manifestazioni dell’io non devono essere
interpretati, vissuti o ri-vissuti bensì rap-presentati, esibiti, mostrati con un
distacco “disumano” che ne raffreddi il gradiente emotivo e li presenti “nudi”
all'intuizione del pubblico.
Il
manifesto della declamazione futurista contiene perciò anche una sorta di auto
da fé di Marinetti, che quasi vergognoso rammenta i tempi in cui anch’egli si
serviva «dei trucchi più perfezionati della mimica facciale e dei gesti» per
diffondere le prime forme di lirismo futurista, il quale ancora, ahimè, «riassumendo tutte
le tendenze simboliche e decadenti, era in certo modo la più spasimosa e
completa umanizzazione dell'universo». «Per troppo tempo – ricorda –, io mi
sono divertito a sedurre e a commuovere [gli spettatori] introducendo nei loro
cervelli ottusi le immagini più strabilianti, accarezzandoli con raffinatissimi
spasmi di voce, con mollezza e brutalità vellutate, finché, domati dal mio
sguardo o allucinati da un mio sorriso, essi sentivano il bisogno femminile di
applaudire ciò che non avevano capito e che non amavano».
Da
questo momento in poi, anche la parola detta
sarà investita dal ciclone di rinnovamento modernista innescato da Marinetti.
Il quale si servirà ampiamente di questa nuova tecnica sia (ne accennavamo poco
sopra) per scopi politici e propagandistici, al servizio del suo stesso
movimento nonché di idee e di parole d'ordine più generali a cui il Futurismo
aveva aderito in quegli anni ribollenti della nostra vita pubblica. Sia, anche,
a scopi pedagogici ed educativi, con il fine di modificare la sensibilità e la
psicologia del pubblico e delle folle, aiutando la penetrazione inconscia di
nuove idee e di nuovi atteggiamenti tra le masse.
Marinetti era infatti
convinto che «l’arte e la letteratura esercitano un’influenza determinante su
tutte le classi sociali, anche sulle più ignoranti che ne sono abbeverate per
via di infiltrazioni misteriose» (L’Uomo
moltiplicato e il Regno della macchina). La ripetizione, il persistente
ribadire contenuti e idee anche tra la generale derisione, attivano, secondo
lui, un processo di osmosi che, gradualmente, per divulgazione, fa penetrare le
nuove acquisizioni nelle classi meno acculturate. Se è vero che «Le idee hanno
una vita personale, magnetica, suggestiva, endemica che vince sovente le forze
coalizzate dei bisogni materiali», d’altra parte la
forza persuasiva di una oratoria spersonalizzata e freddamente assertiva non
sarà da meno nel favorirne la propagazione.
Questi
brani tratti dagli “Archivi sonori del Futurismo”, laboriosamente messi insieme
da Antonio Latanza e Daniele Lombardi, offrono una importante
campionatura della declamazione futurista, radunando quasi tutto quello che,
credo, è sopravvissuto alla distruzione del tempo tra fonotipie, dischi da
grammofono, registrazioni d’epoca e ricostruzioni sonore su spartiti originali
(per ciò che riguarda le musiche dei compositori: Russolo, Casella, Balilla
Pratella, Malipiero). Certo, la deformazione timbrica delle registrazioni di allora
e l’ascolto decontestualizzato a quasi cento anni di distanza impongono a
questa oratoria una certa patina d’antan, smorzandone l’originale forza di
impatto, che produceva perplessità e
grandi sganasciamenti. Ci si divertiva, ci si divertiva molto in queste
serate futuriste. E, di sicuro, non si poteva restare impassibili. Anzi, nella
maggior parte dei casi, il pubblico, sentendosi preso in giro, reagiva proprio
nel modo auspicato da Marinetti, il più avanguardista che fosse possibile: con
lancio di legumi, di oggetti e con pesanti battute che finivano immancabilmente
per favorire lo sfogo della aggressività repressa e generare scazzottature
liberatorie, creative, sinottiche, in puro stile futurista.
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