* Dal
volume Geografia del mattino e altre poesie (Gazebo, Firenze 2008 - prefazione di Plinio Perilli).
.
Dalla sezione “Prova
di pensiero”.
“Forse è tempo di metter gli
occhiali / per diventar familiari /
con le distanze e i puntigli del vetro”
Andrea Zanzotto
Trasformati, luogo zero,
in fondamento.
In quale figura non dire.
Tu scava sotto le mura -
allontanato l’invadente nemico,
la negazione assoluta.
Il nero gioco è
la verosimiglianza del lutto,
il mai cessato allarme
a margine dei rimandi.
A terra il suono ha un’altra voce.
Profuma lo zoccolo
dei fiori calpestati.
Dalla sezione “La
perdita di peso - uccelli sulla città”.
*
L’infinito furore, il dissenso,
lo scompenso elementare dell’Ellisse;
stridono gli uccelli, seguono il
passo
là dove Esedra è un fuoco sotto la
volta.
Armonia di Cupole ed
oro,
Babuino, nostalgia del silenzio.
Salde a condurne il
manto
vanno regali donne al cuore.
Essere noi, ora, per
le madri
Madri: alleviarne
l’inganno.
Fare conta del colore,
caso mai il mondo sparisse.
*
Levano su Caracalla come fosse altrove,
come non fosse Roma, sì una Roma
sepolta,
una Roma mai sorta. Non appartiene
loro
l’attesa o il ritorno a casa dal
mare,
ma la dimora remota dell’occhio, la
rotazione.
(Traccia un cerchio il cuore dalle
vaste accelerazioni.
Non sa, non chiede, se pur rovina o quale viola
accoglie la rincorsa paziente di
forma e cenere).
Salgono e fanno gruppo secondo direzioni del volto;
uniformi ai lati, sparsi per
movimenti interni.
“Solo corpo del giorno è la perfettissima
voce”.
Nient’altra nascita
che una voce disabitata
e palpebre aperte alla pioggia.
Tentarono coi propri occhi la luce
addivenendo ai primi astronomi padri.
A quale religione appartengono,
gli uomini che non si voltano?
Con chi si accompagnano
una volta storditi?
Con posa di pezza tentano l’obolo,
simulano una panne
tra Cola di Rienzo e Silla:
a braccia alzate attendono
auscultando con gli occhi il cuore.
(Mostrano i denti le femmine
al guaire oscuro dei maschi;
si spengono in aperture infinite
le anime germane dei corvi).
Spalle ai pontefici s’affida Roma
ai suoi mandanti, si prepara alla
notte
chi ha in sorte l’ultima stazione.
Ci racconta una città piegata, senza dita.
Non Roma più, Costantinopoli.
Dalla sezione “Tempo
del rame”.
A DOVUTA DIREZIONE (*)
carità d’Anchise
Già schizza il sangue, misura,
interroga, piccolo cervello.
Dolce la rispondenza,
il calore subitaneo dell’amato:
alle volte un padre nella sua
parabola
d’occhio che vede, scruta, sa.
Quale porzione dovuta di riscatto,
matura il riconoscimento lo spazio
di una definita fede: amore è quel
che
che a retro resta e regola il
mostrarne.
Amore si fa metro, al corpo
aggiunge carne.
* Su un particolare di uno dei gruppi scultorei
che
attraversano Ponte Vittorio Emanuele a Roma
(di
Ennio De Rossi).
“Resta saldo,
e se puoi,
prega, prega per tutti”.
Elio Fiore
PRIMA DELLA BOMBA
Tutti in posa prima della bomba
a scarnificare silenzi e anima-
la nostra gioventù, la nostra figlianza,
la nostra ripudiata vecchiezza.
Un presagire, forse, o un’ombra
mentre nubi basse ci spazientano un poco-
nella conta una resa allo scatto
quella mano che addolcisce il colletto.
Via della Conciliazione, l’8 Luglio 2005.
(Il giorno dopo gli attentati di Londra).
A
PROPOSITO DI MILOSZ E DI CAMPO DE’ FIORI
Ti
sbagli Milosz, di troppi
vagheggiamenti vive un poeta.
Nessuno
griderà più da un nuovo Campo de’ fiori.
Precettato
muore Giordano Bruno ogni sera, rivendicato
black block che ripete oscuramente il suo nome.
La
leggenda in mano alla storia rivolta contro sé
la sua pena, condannata a vedere. Quella solitudine,
quella lingua che ancora ci è estranea, reclinata
dai tanti che credono di spargerne il fuoco.
Questa, tra i banchi - più dei venditori o l’asteria nel gaio
brusio della piazza - la morale che
qualcuno può trarre.
Non l’oblio che cresce prima che la fiamma si spenga
ma tra cocci e vessilli un facile
calco di padri - là
dove il fuoco lo arse - un’offerta
in riproduzione di idoli
secondo un indistinto e illuminato
potere.
NOI SAPEVAMO
Non smettono,
cambiano solo facciata
i figli agglutinati della ruggine.
“OLOCAUSTO
FANDONIA”.
“SHOA
MUST GO ON”.
Ogni tanto fa un giro, se chiamata
cancella:
“Hmm.. Scritte politiche..!?” - la coscienza delegata,
l’armata sicurezza.
Corre in banca Vignastellutifleming,
ha ddà nutrì nipoti, comprare pennarelli.
Ma noi sapevamo - provando urtati
un brivido -
la macchina di colpo spenta nel posto handicappati.
“PER ME BEN COTTO! L’ARABO E
L’EBREO..”.
Taccagni mai, più comodo lo spray.
Per Edith Bruck
Come quel
tordo
che
lanciò la sua anima
nel buio
che cresceva
MONTEMIRABILE
(*)
Non
tener dietro alle insane voglie del mondo.
Amore
non si compie dietro rotte a noi superiori.
Copre
la fama, ne accompagna la spoliazione
il bagliore che divide l’ombra dai corpi.
(Regolati sempre al germe della continua creazione
che è volontà piena di somiglianza,
ardore,
ascolto, potenza che incontra il numero).
Prefigurazione
in semplicità torna al suo stato.
Questo
il gemito, il disadorno splendore.
Non
vedi? La tenerezza divina pei suoi infanti.
Il
mistero che in noi gloria il suo giorno.
* Dal nome della Cappella in S. Maria del Popolo a Roma.
***
Gian Piero Stefanoni (Roma, 1967): laureato in Lettere moderne ha pubblicato
nel 1999 la raccolta In suo corpo vivo
(Arlem, Roma - pr.ne di Mariella Bettarini)
vincendo nello stesso anno, per la sezione poesia in lingua italiana, il premio
internazionale di Thionville (Francia) e nel 2001,
per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del comune di Spoleto. Nel 1997 per l’inedito ha
vinto il “Dario Bellezza” e il “Via di Ripetta”. Già
redattore della rivista di letteratura multiculturale
“Caffè” e collaboratore di “Pietraserena”
e “Viaggiando in autostrada”, suoi testi sono apparsi su diverse riviste, tra
le quali “Il segnale”,“L’area di broca” e “Risvolti”.
Presente nell’antologia Poesia
dell’esilio (Arlem, Roma 1998 - a cura di M. Jatosti), è stato tradotto e pubblicato in Spagna, Malta e
Argentina.