CHECKPOINT POETRY
VINCE FASCIANI
 

               

 

Vince Fasciani, Diario ordinario (Campanotto Editore, Pasian di Prato 2008, pp. 96, € 9,00)

 

Vince Fasciani è nato da padre italiano e madre svizzera tedesca il 27 gennaio 1950 nel Canton Ticino. Vive a Ginevra, dove esercita la professione di libraio. Ha iniziato nel 1977 la sua attività letteraria vera e propria, dedicandosi sopratutto alla poesia. Scrive sia in italiano che in francese. Può essere considerato, per la sua originalità e per la sua “scrittura meticcia”, uno dei più interessanti ed originali poeti della Svizzera contemporanea.

È presente nell’esclusiva antologia  Cento anni di poesia nella Svizzera italiana (a cura di Giovanni Bonalumi, Renato Martinoni e Pier Vincenzo Mengaldo, edizioni Armando Dadò, Locarno 1997), con una nota di Vincenzo Mengaldo che, riferendosi alla sua produzione italiana, parla di una “oscillazione continua tra un’esistenzialità che si auto-accusa e i territori del ludico”, e di qualcosa “che non possiamo fare a meno di chiamare neo-surrealismo, talora smarginante nella favola”, definendolo “notevole poeta”. Nella sua ultima raccolta, Diario ordinario, da cui sono tratte le poesie che seguono, Fasciani accentua i toni dimessi e crepuscolari, prevalentemente narrativi, che già apparivano in precedenti raccolte (Punto d’appoggio, L’odore umano della pietra, pubblicati a Bellinzona da Casagrande, rispettivamente nel 1995 e nel 1999); una poesia che vede in primo piano i temi esistenziali; ma in cui si sente l’ironia, il gioco e la sottile vena surreale e alchemica che caratterizzava le precedenti raccolte (come Il mondo di profilo (Casagrande, Bellinzona, 1989, che insieme a Diario ordinario, è il suo miglior libro di poesia in lingua italiana). Una poesia apparentemente levigata, quasi noncurante, scritta con un linguaggio volutamente basso e banale, che nasconde momenti intensissimi e paradossi esplosivi. Una “leggerezza ambigua e inafferrabile”, come afferma Renato Martinoni nella prefazione al volume. “Sono insomma versi che paiono emergere dal Nulla, un Nulla che nasce dalla volontà apparentemente incomprensibile di dimenticare... e che non concede altro che sprazzi quasi occasionali e disorientanti di fioca luce, di brevi escurzioni spaziali, di immagini sfilate e di voci rotte... Versi che vanno alla ricerca di un ordine intimo del parlare”. Una poesia che in un certo senso rappresenta sempre un miracolo, in quanto nasce da una corazziniana negazione dell’esser poeta, da un uso provocatorio di termini impoetici (“stasera riparo la suola della mia scarpa”, è la chiusa di una poesia), perché, appunto, e questa è la splendida chiusa di un’altra poesia, “l’allegria è  una nuvola di passaggio / i miracoli hanno orari stravaganti”.

 

(Carlo Bordini)

 




 

 

******

 

 

la conosco poco, di sfuggita e di passaggio

come il riflesso del cielo in fondo a un pozzo

e molti pur non avendola vista

l’avranno sentita nominare alla radio

 

quella domenica del cinque maggio

e non sarà facile cancellarla dal ricordo

un profumo quasi di miracolo

e poi è partita per sempre per Bogotà

 

accompagnare turisti nel suo paese

sarà rendersi utile a qualche cosa

anche se di là trema ogni tanto la terra

 

quando il mio amore non potrà più dormire

darò una sbirciatina dall’alto

per rendere il ricordo ancora più bello

 

 

***

 

 

vivo nella nebbia all’andata

tutto questo succede una volta sola

non si ha sempre la parte del leone

vivo in filigrana anche d’estate

 

in questa serie di giornate

che vengono al seguito per conto loro

c’è sempre un po’ di felicità dentro di me

anche se un giorno dovrò partire in un angolo

 

vivere è un po’ come una barzelletta matematica

si traversa l’universo e si ritorna a casa

mi trovo a corto di soldi

 

mi concedo un’altra oretta di riposo

l’allegria è  una nuvola di passaggio

i miracoli hanno orari stravaganti

 

 

***

 

 

un pomeriggio di riposo

nella buona stagione

guardando il viale pieno di sole

la gioventù che passeggia senza colpe

 

la vita è più larga

quando il tempo si sospende

è lì che passeggio lungamente dall’est all’ovest

per un verso o per l’altro anche dal nord al sud

 

la vita mi piace

anche quando non so che farmene

la pianura si dilata nascosta dalla polvere

 

non è tanto lontano quel giorno

dove l’estate se ne va

nelle ore più calde

 

 

***

 

 

è morto, tutta la vita è sottosopra

se soltanto si sapesse

come diavolo ha vissuto

cerco di entrare un momento nella sua vita

 

tanto perché mi possa dire

che ci sono stato anch’io

mio padre è morto

come se facesse un giretto intorno a casa

 

mio fratello dice guardando la bara:

“è la prima volta che è obbligato ad aspettare”

tutti dicono che era molto gentile

 

io invece vorrei prenderlo sottobraccio

camminare con lui verso il nulla

per non perderlo di vista

 

 

***

 

 

un albero di datteri

e tutto intorno a me scompare

l’anestesia provvisoria del mio cuore

il sonno dell’eroe ancora muto

 

una roccia carica di felicità

ma la verità è coperta di sabbia

e con l’andar del tempo

ci si addormenta nel corpo del re

 

intanto il mondo appare più piccolo

con dolce violenza mi distacco

da tanta altezza

 

non ho più tempo di guardarmi intorno

la valigia è pesante

ma non contiene niente di importante

 

 

***

 

 

mi fermo sotto il mio solito salice piangente

e stonato, canto una canzonetta comica

sul fiume non si vede l’ombra di un’anima

penso spesso la testa all’ingiù

 

è per meglio capire il mondo

sono assorto in una conversazione con l’altro di me

sono tirato da un lungo cavo da rimorchio

non riesco a pensare e tenermi accanto a me

 

già in partenza qualcosa dev’essere andato male

anche il dottor Binella mi disse che ero scemo

in tono calmo e gentile mi ha trattato d’imbecille

 

a questo marchio va tutta la mia riconoscenza

una tomba in anticipo con urli incisi sulla lapide

la mia poesia, non ci trovo niente di speciale

 

 

 

 




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